"Mi manca la nazionale, ma non posso farne una malattia". Mauro Icardi risponde così alle sollecitazioni della Gazzetta dello Sport. Una lunga intervista in cui il centravanti argentino ha parlato soprattutto di se stesso e della sua carriera. 

LA STAGIONE - "Ci ha fregato gennaio e da lì in poi ci è mancata la cattiveria che ti fa dire “Dai, ce la possiamo fare”. Certi errori dovevano già servirci per questo finale di stagione, che non sarà da buttare solo se servirà per non sbagliare di nuovo, la prossima. Cioè se quella che giocheremo sarà l’ultima Europa League: aspettando ancora la Champions, ma non aspettandola e basta".

VIAGGI - "Il viaggio che mi ha cambiato la vita l'ho fatto a 9 anni: da Rosario a Gran Canaria, troppo grave la crisi in Argentina per vivere lì. Appena arrivato ho conosciuto Sebastian: lui mi avrebbe fatto giocare nel Vecindario e sarebbe diventato il mio fratello delle Canarie".

PAURA - "Neanche da bambino avevo paura: buio, rumori, tantomeno gli animali, anzi mi piacciono anche quelli più strani. Tutti tranne i gatti: li trovo un po' 'traditori': sanno vivere da soli e pensano solo a se stessi. Paure nel calcio? Di un infortunio? Ma quella non è paura, è 'rispetto' di ciò che può succedere da un momento all'altro. E, riguardasse solo me, potrei dire di non aver timore nemmeno della morte: se muori, muori, e quando arriva è già tutto finito. Il fatto è che non riguarderebbe solo me e ogni volta che sento di tragedie, incidenti o aerei che cadono, ho paura sì: di lasciare la famiglia troppo presto".

DELINQUENZA - "A 7 anni conoscevo tutti, anche quelli che vendevano droga e per la droga ammazzavano, e tutti conoscevano me. Juanchi, il mio amico del barrio, li vede, e vede pistole e droga, da trent'anni, ma continua ad alzarsi ogni mattina alle sei per andare a lavorare: alla fine i delinquenti quasi sempre sono quelli che vogliono esserlo o quelli che non hanno voglia di lavorare".

SOCIAL NETWORK - "Oggi quasi tutti hanno almeno un profilo, ma io li uso da molto prima e non come tanti, che nascondendosi dietro l'anonimato si divertono a giudicare. Tanto giudicare è gratis, si può far diventare bad boy anche il ragazzo più semplice del mondo, come credo di essere nelle cose essenziali: chi mi guarda e mi conosce per quello che faccio in campo, così può vedere anche chi sono e come vivo fuori da lì, perché io mica vivo dentro il campo. Ecco perché non mi pento di nulla, nemmeno di mettere foto dei miei figli, compresi quelli di Maxi: vivo con loro 365 giorni all'anno, anche loro sono la mia vita. E poi è inutile fare i finti puristi, è anche una questione di lavoro: quando devi firmare un contratto pubblicitario ormai la prima domanda che ti fanno è sempre quella, 'Hai un profilo?'. Sei un personaggio pubblico, in un certo senso sei di tutti".

IDOLO - "Si sa: per me era Omar Gabriel Batistuta. E pensare che non sono ami riuscito a conoscerlo di persona. In compenso, ho sempre pensato di riuscire a rubargli il segreto di quella forza che metteva quando giocava, ti sembrava che mangiasse il campo. Io lo so che adesso sto dall'altra parte, perché ci sono i bambini che vorrebbero essere Icardi, ma non è che ogni volta sto lì a pensare 'Occhio che ti guardano'. So bene quello che si vede di me e quello che non si vede".

FAMIGLIA - "Prima di stare con mia mamma, papà Juan aveva avuto due mogli, con un figlio dalla prima e due dalla seconda. Poi con mamma Analia siamo arrivati io, Ivana e Guido. Adesso lui è tornato con la seconda moglie e mamma dalla sua nuova relazione ha avuto da poco due gemelli. Non siamo mai stati ricchi in famiglia, ma siamo sempre stati felici. Ma non è per questo che oggi sento anche Valu, Coki e Benchu come figli miei: lo sono perché sono figli della donna che ho scelto, la prima che mi ha fatto pensare di volere una famiglia. Non avrei pensato di avere figli così presto".

LA PUBALGIA - "Sai come viene, non sai quando se ne andrà. Non riesci a calciare un pallone nemmeno ad un metro. A me venne per una serie di tiri a fine allenamento, mi scivolò il piede e mi stirai un muscolo intercostale: iniziai a dormire male, a camminare male, si infiammò il pube e come se non bastasse mi toccava anche sentire cazzate tipo che dipendeva dal troppo sesso con Wanda. Mi sarei dovuto fermare subito, ma a me non piace stare fermo. Accorgermi di non riuscire a dare nulla a quei tifosi che quell'estate mi avevano accolto come un re non era un bel pensiero. Molto peggio che decidere di lasciare il Barcellona: anche oggi non lo vedo chissà qualche buco nero della mia carriera. Non è la fine del mondo. Me ne sono andato con il sorriso, come sempre quando sono io che scelgo di fare una cosa".

 

Sezione: In Primo Piano / Data: Gio 12 maggio 2016 alle 08:15 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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