"Ho giocato con i migliori compagni, allenatori, nei migliori stadi del mondo, con i migliori tifosi e contro i migliori tifosi. Ricordo l’applauso di quelli del Bayern a Madrid, quando andai a salutarli: non aveva prezzo". Parla così oggi Samuel Eto'o, intervistato dalla Gazzetta dello Sport alla vigilia di Barcellona-Inter, sfida non banale per uno che è stato leader sia nei catalani che tra i nerazzurri.

Il film Inter-Barcellona 2010 in una sequenza.
"In due sequenze. La prima: Materazzi e Balotelli dopo la partita di San Siro. Non posso spiegare cosa successe (Materazzi picchiò Balotelli che aveva gettato a terra la maglia dell’Inter, ndr), ma se rivedo l’immagine di quello spogliatoio rivedo lo spirito del nostro gruppo. Se ci sono due persone che amano davvero l’Inter sono il signor Massimo Moratti e Marco Materazzi. A Marco dissi: “Chapeau, uomo vero”. E a tutti gli altri: “Questa eliminatoria la passiamo noi”. La seconda, al Camp Nou. Ero stanco morto, Zanetti se ne accorge, mi viene vicino e mi parla piano: “Sigue negro, sigue: insisti, manca poco, ancora un po’, ancora un po’”. Le confesso una cosa: ogni volta che vedo una partita dell’Inter sento ancora quella voce di Pupi".

Inter e Barcellona: il meglio della sua carriera?
"No, il meglio è stato il Maiorca. Ma il punto d’onore della mia carriera sì: al 50% Inter e al 50% Barcellona".

In una parola: cosa le ha dato il Barcellona e cosa l’Inter?
"Il Barça è stato la vetrina che mi ha permesso di far sognare a milioni di ragazzi africani che tutto è possibile nella vita. L’Inter lo ha confermato, è stata il punto successivo: due Triplete di seguito con due squadre diverse. E mi ha confermato che avevo fatto bene a non ascoltare chi mi diceva: “Non devi andare in Italia, lì la gente di colore ha problemi”. Meno che in altri posti, in realtà".

Quando Balotelli giocava con Eto’o, Eto’o diceva: può diventare come Messi e Ronaldinho. Ha sbagliato lei o ha sbagliato lui?
"A Mario voglio bene come a un fratellino, ma non ha mai giocato neanche al 10% delle sue qualità: il Mario che vedevo in allenamento quando aveva voglia, non si è mai visto in partita. Peccato, in alcuni momenti ha saputo segnare i cuori di chi lo guardava, ma avrebbe potuto segnarli tutti i giorni per vent’anni".

Ha definito Mourinho il capitano della vostra famiglia Inter: non è fuori dai giochi da troppo tempo?
"Nel calcio ci sono momenti in cui è bene fermarsi un attimo. Per vent’anni è stato abituato ad allenare, lottare, vincere, a lavorare per migliorare i suoi giocatori: mi piacerebbe se fosse sulla panchina del Barcellona o del Camerun, ma sono anche contento di vederlo rilassarsi un po’. Non più che fino alla prossima stagione, però".

«Mourinho mi ha fatto capire cose importanti della vita, non solo del calcio». Ce ne dice una?
"Gennaio 2010: torno dalla Coppa d’Africa e mi tiene fuori per quattro partite. Quattro. Chiedo di parlargli, ero molto incazzato. Mi parla: “Tu sei il mio giocatore migliore, ma la squadra sta funzionando bene senza di te”. Quelle parole cambiarono molto il mio modo di vedere le cose. E imparai che a volte, anzi quasi sempre, è il gruppo la stella della squadra. Non solo nel calcio".

Ha visto il derby?
"Sì, e ho visto che ci sono i giocatori, c’è l’allenatore, un club che sta mettendo molti soldi, uno dei migliori pubblici del mondo. Non sono un mago, ma il mio sogno è venire a festeggiare a San Siro la prossima Champions vinta dall’Inter: sento l’energia giusta per sognare cose grandi".

Cosa la colpisce di Conte?
"Non perde mai di vista la vittoria finale: sono in pochi, di quella razza".

Il Barcellona non iniziava così male un campionato da 25 anni: perché?
"Perché il santo Messi ha giocato pochissimo: se lui c’è, è il Barcellona. Se Messi non c’è, si nota che il santo non c’è. Spero non giochi contro l’Inter, per il mio cuore: deve essere 50-50, se gioca Messi è più difficile che sia 50-50 la partita".

Le piace Lukaku?
"In campo e fuori dal campo. Siamo stati insieme all’Everton: grande e grosso, ma è come un bebè, però molto intelligente anche se giovane e infatti ha detto cose importanti sul razzismo. Ci sono calciatori che si sentono stelle e altri persone normali: lui è nel secondo gruppo. E vedrete quanti gol farà".

Nel 2006 l’arbitro Victor Esquinas Torres ferma Eto’o che vuole lasciare il campo per insulti razzisti; nel 2019 Orsato ferma Atalanta-Fiorentina perché lo stesso sta accadendo a Dalbert. Sono passati 13 anni: inutilmente?
"Un Pallone d’Oro ai due arbitri e tutta la mia rabbia per i dirigenti del calcio. Ma Infantino, la sera del Best Fifa, ha detto una cosa molto importante: “Non più parlare: fare”. E lo ha detto il capo del calcio mondiale. Abbiamo bisogno di regole anche nel calcio, ma regole dure - non una multa di cento euro - e da rispettare. E’ una responsabilità di tutti, ma noi non siamo dirigenti e dunque dico: “Per favore, signori dirigenti di calcio e politici, ci rimettiamo a voi perché prendiate decisioni che possano cambiare la vita di tutti".

Slovacchia, Romania e Ungheria giocheranno la prossima partita a porte chiuse.
"Sbagliato: punisce anche chi non ha colpe. In campo ci sono non so quante telecamere di sicurezza: possiamo sapere esattamente cosa chiunque sta dicendo, e in che momento. Ok, quelli non devono entrare più in uno stadio. Mai più. E non solo in uno stadio: quello che succede lì dentro è quello che succede ogni giorno nella nostra società".

Ai tempi dell’Inter non ha mai nascosto di avere rapporti con «i miei amici della Curva Nord». Cosa pensa di quella lettera: «Certi cori non sono razzismo, ma solo un modo per innervosire gli avversari»?
"Ci parlo ancora, ma non ancora di quella lettera. Se vuoi innervosire qualcuno, hai un milione di modi per farlo: glielo dirò, è un mio dovere proprio per il rispetto che ho per loro. E dirò loro che credo sia giusto rettificare".

Sezione: In Primo Piano / Data: Mar 01 ottobre 2019 alle 08:15 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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