A metà tra il fiato corto e il passo indietro, l’Inter lascia Verona coi tre punti tra i denti e una prestazione non particolarmente brillante alle spalle, molto simile a quelle che l’hanno vista prevalere a ripetizione su una serie di medio-piccole prima che alzasse l’asticella della qualità in corrispondenza con impegni più probanti. L’eredità del cambio di passo registratosi nelle ultime settimane si è fatta certo sentire, nel momento in cui l’Inter ha voluto uscire palla al piede da una molteplicità di situazioni, talvolta rischiando anche la beffa che è puntualmente arrivata sull’episodio del rigore. Non è insomma cambiato il copione, che settimana dopo settimana si arricchisce di fraseggio e vicinanza tra i reparti. È mancata semmai un po’ di brillantezza e quella squadra corta, che appunto Spalletti vuole così, coi reparti schiacciati l’uno sull’altro e raccolta in trenta-quaranta metri di campo, soltanto di rado è riuscita a riversarsi tutta a ridosso dell’avversario. Quando si è sentita in grado e in dovere di farlo, però, lo ha fatto, come si è visto subito dopo il pari gialloblu. La solidità mentale e la fedeltà a quell’identità che si costruisce sul campo di Appiano sono dunque le notizie più positive della sfida di Verona, insieme a una classifica meravigliosa e al record di punti che, pur gonfiato da un campionato anomalo, resta una piccola perla che i nerazzurri possono sfoggiare con piglio orgoglioso.
NOVITÀ - Agli occhi balzano prima di tutto le novità, e l’atteggiamento tattico di Perisic e Icardi è certamente un’inedita creazione di Spalletti. Il capitano, meno lucido del solito, non ha tuttavia rinunciato a quel lavoro di cucitura tra i reparti che mai nella sua carriera era entrato a far parte del suo portfolio. In diversi momenti della prima frazione, infatti, Borja Valero era in una posizione persino più avanzata rispetto al nove di Rosario, a conferma del fatto che Icardi si sta sottoponendo a un radicale trapasso di interpretazione del suo ruolo che va a tutto vantaggio dei suoi, quando possono trovare tra le linee un giocatore che prima era inesorabilmente in attesa della palla buona nella desolazione dell’area di rigore. Quanto a Perisic, il croato ha dimesso per gran parte delle ultime uscite i panni dell’ala pura, a favore di un lavoro a 180° su tutto il fronte di attacco; quando si tratta di correre indietro, poi, il croato sembra non far fatica con quella sua falcata da passista, e quindi eccolo lì, a giocare con intelligenza sulla sua linea di fondo e, dopo qualche trama intelligente, di nuovo a ripartire contro la retroguardia avversaria. L’unico esterno di ruolo di quest’Inter, in tal senso, resta dunque Candreva, e lo stesso azzurro non si dà tregua nell’arare la fascia prima di scagliare con efficacia sempre crescente i suoi traversoni. Per questo fondamentale, l’ex Lazio è stato a lungo oggetto di perplessità e ironie. Candreva ha infatti attraversato mesi di cross a ripetizione, uguali a sé stessi, a difesa schierata e con il solo Icardi che attaccava il primo palo; sfumato il difficile incrocio con il movimento di Maurito, il pallone del romano andava inevitabilmente a perdersi sull’altra fascia, e i traversoni di Candreva finivano per sembrare inutili semplicemente perché nessuno, il più delle volte, attaccava quel secondo palo dove ieri sera Borja Valero ha trovato la sua gioia nerazzurra.
L'ALTRA METÀ - È come se tutti i nerazzurri, dunque, fossero stati chiamati a scoprire la propria metà nascosta, quella che era celata prima d’ora dalla staticità del ruolo e da una convinzione non salda nelle proprie possibilità di crescita. Ecco dunque che Icardi viene incontro, Perisic svaria e i centrocampisti attaccano la porta con tempismo e danno per gli avversari; e ancora, ecco che Nagatomo si è ritrovato giocatore solido, che magari sbaglia l’uscita sull’avversario per troppa voglia, ma con la medesima voglia torna indietro e puntualmente si riappropria del maltolto. Dietro, prosegue inarrestabile la crescita di Skriniar, punto di riferimento acclarato della fase difensiva nerazzurra, e lo stesso Gagliardini si sta via via scoprendo capace nell’inedita funzione di perno basso che torna tra i due centrali, dopo aver a lungo studiato da mezzala nei suoi precedenti brani di carriera. Come nei romanzi di formazione, è inevitabile che i percorsi individuali si aprano all’errore e all’imbarazzo della novità: stanno tutti studiando per migliorare se stessi e, insieme, per diventare anche altro da sé, sono tutti alla ricerca di una nuova identità da calciatore totale. Ciò che più conta, però, è che la traiettoria del collettivo ne risenta il meno possibile, ché la squadra ora si appoggia al momento di uno, ora dell’altro, e in questo senso la fase maiuscola che da qualche settimana sta attraversando Borja Valero è in qualche modo centrale nel rendimento dell’Inter attuale. Soprattutto, però, spicca la solidità e la serenità con cui si affrontano le intemperie, anche laddove queste nascano da qualche eccesso di superficialità. Mai ieri sera chi scrive ha temuto che potesse finire davvero in pareggio. E c’è di più, se vogliamo: mai in stagione quest’Inter è andata nel panico dopo che le è crollato il castello di carte, mai è andata in vantaggio e poi è stata riacciuffata senza che infine non abbia portato a casa i tre punti. Proseguano dunque i romanzi di formazione dei nerazzurri, continui Spalletti a chiedere ad ognuno di diventare anche ciò che non è mai stato. Forse è proprio dal desiderio di crescita dei singoli che nasce la nuova testa dell’Inter, e quell’impressione diffusa, sul campo come negli occhi di chi guarda, che questa squadra sia sempre destinata in qualche modo a buttare la gamba oltre l’ostacolo, anche quando gli si è avvicinata con una rincorsa non particolarmente aggraziata.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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