Hernanes Crespo si racconta ai microfoni di Inter Channel, durante la trasmissione Inter Legends. Il bomber argentino ripercorre la sua carriera a tutto tondo, confessandosi davanti alle telecamere del canale tematico nerazzurro.
Partiamo dal River Plate. Tanta panchina, quali sono i tuoi momenti preferiti?
“Ho iniziato nel settore giovanile del River Plate, ho fatto tanta panchina soprattutto nelle giovanili, dai dieci ai sedici anni. L’anno successivo a quel periodo, l’allenatore mi dà fiducia e io segno ventitré gol in ventuno partite. Questo mi permette di staccare il biglietto per l’Europa”.
Poi, il Parma. Inizio scricchiolante, poi una grande rimonta...
“Sì, la società emiliana mi compra prima che io esploda definitivamente, tra Copa Libertadores e Olimpiade. Nessuno poteva immaginare che dopo poco tempo sarei esploso io e sarebbero esplosi i prezzi dei trasferimenti. Non ci aspettavamo tutto questo, anche se quando arrivo ho totalmente saltato il ritiro. Appena arrivato, salto un mese, poi faccio il mio esordio a San Siro e segno subito. Attraverso una fase di blocco, ma poi segno 11 gol nelle ultime tredici partite. Era un calcio diverso, capitava di tornare da un viaggio con la Nazionale e poi giocare la domenica, perché non esistevano le pause FIFA. Facemmo tuttavia una cavalcata emozionante: eravamo quartultimi a dicembre, finimmo secondi. Ci giocammo lo Scudetto con la Juventus, a due giornate dalla fine eravamo avanti 1-0 contro i bianconeri, poi fischiarono un rigore a loro e pareggiarono…”
Che attaccante era Ronaldo?
“Era un mostro, ha cambiato il modo di pensare ad un centravanti. Io non avevo un arma che potesse salvarmi, nessuna peculiarità particolare. Dovevo leggere la situazione e del sostegno dei miei compagni. Lui aveva tutto questo, era davvero il Fenomeno. Poteva anche passeggiare per il campo, poi tanto aveva tre-quattro fiammate che risolvevano la partita.
Dopo il Parma, la Lazio. Arrivi l’anno dopo la vittoria dello Scudetto…
“Il primo anno è stato difficile sin dall’inizio. Ci avevano chiesto lo Scudetto, ma i miei compagni erano un po’ troppo rilassati. Eriksson lascia, va ad allenare l’Inghilterra. Subentra Zoff e la dirigenza compra Poborski e ricominciamo a correre. Inseguiamo il primo posto, ma le speranze si infrangono a causa di un pareggio con l’Inter a poche giornate dalla fine”.
Che ricordi hai del passaggio all’Inter?
“Il giorno in cui fui ceduto ai nerazzurri, dovevamo giocare un’amichevole contro la Juventus all’Olimpico, ma il mio procuratore mi chiama per dirmi che avrei cambiato maglia: Inter o Real Madrid. Tutto dipendeva da Ronaldo: se il Fenomeno fosse rimasto in nerazzurro, sarei andato in Spagna. Altrimenti, cosa che poi è successa, con Ronnie a Madrid, io sono arrivato a Milano. Vado dall’allora mister Roberto Mancini per parlargli di questo e lui mi chiede di rimanere per provare a vincere lo Scudetto. Ancora non sapeva che qualche anno più tardi ci saremmo trovati a vincerlo con un’altra maglia…”
A Milano formi subito una coppia d’oro con Christian Vieri...
“Christian è una persona straordinaria, non appena sono arrivato mi ha fatto sentire a casa. Di solito il centravanti principe di una squadra, quando arriva un altro attaccante, si innervosisce, ma Bobo non ha fatto così. E’ stato splendido, mentre gli altri mi dovettero studiare un po’ prima di aprirsi con me. Non avevamo un gioco spumeggiante, anzi, dovetti imparare a colpire di testa per sfruttare i tanti cross che Cuper voleva mi arrivassero.
Il simbolo di quell’anno è Brescia - Inter…
“Sì, io avevo subito tre mesi prima un infortunio importante e dovetti lavorare moltissimo alla Pinetina, aprivo e chiudevo il centro sportivo. Prima dell’infortunio già mi trascinavo qualche problema di pubalgia e dissi al mister che non potevo tirare in porta, ma lui mi chiese comunque di scendere in campo. Purtroppo però durante la partita Recoba mise una palla splendida in mezzo, io mi allungai per calciarla e sentii subito che mi ero rotto qualcosa. Mi si era staccato l’adduttore con un pezzo di osso. Mi era capitata una cosa orrenda, ero tutto strappato, ma volevo tornare a tutti i costi e feci un recupero record. Contro il Brescia giocammo 9 contro 11 e io segnai al 90’, dopo una serie infinita di rimbalzi (ride, ndr)”.
Capitolo Euro Derby: l’aria a Milano era irrespirabile…
“Sì, quei giorni furono difficili. Noi giocammo anche senza Bobo, infortunato. Ci sono state situazioni particolari, ma questo è il calcio. Fu difficilissimo uscire senza perdere, a causa della regola dei gol in trasferta”.
Com'è stato lasciare l'Inter?
“Quando lasciai l’Inter mi commossi, l’affetto della gente era incredibile e mi dispiaceva lasciare quelle persone. Avevamo concluso un’ottima stagione, andare via mi dava molto fastidio. Non ho mai sognato di giocare in Premier League, volevo solo vincere in Italia. La dirigenza voleva vendermi, quindi sono andato via. Mi hanno trattato bene, ma era tutto incredibilmente nuovo: la squadra era stata appena assemblata, Ranieri era un coach scelto dal vecchio presidente, si stava costruendo tutto. Siamo arrivati secondi dietro l’Arsenal e in semifinale di Champions League, quindi tutto sommato andò bene”.
Ma Carlo Ancelotti ti richiama in Italia, al Milan…
“Sì, arrivammo in finale di Champions League. Quella finale di Champions League, a Istanbul… Ero distrutto, il calcio sa essere davvero cattivo. E’ qualcosa di allucinante, il primo tempo sembrava fin troppo bello per essere vero. I ragazzi ebbero l’occasione di rifarsi, io no, e questo mi fa un po’ di rabbia”.
Poi torni al Chelsea. Com’è il rapporto con Mourinho?
“Sì, con Mourinho ci conoscemmo anche l’estate prima di passare al Milan. Mi disse che ero l’attaccante titolare della squadra, ma io gli confessai che volevo andare a Milano da Ancelotti. Dopo l’anno di Istanbul, tornai a Londra e vincemmo la Premier League prendendo pochissimi gol: eravamo uno squadrone, facemmo 95 punti e le ultime due partite le perdemmo perché Mourinho concesse dei giorni di riposo ai giocatori che stavano preparandosi al Mondiale”.
Estate 2006: l’Inter ha fame, costruisce una squadra fortissima…
“Dopo aver vinto in Inghilterra, chiudo felicemente una pagina importante della mia carriera. Però volevo vincere lo Scudetto, essere arrivato tre volte dietro la Juventus mi dava un senso d’incompiuto. Abramovich mi convoca in sede e vuole farmi firmare un contratto a vita con il Chelsea, ma io gli confesso di voler tornare in Italia. Qualche mese dopo, mi chiamò il mio procuratore per dirmi che Mancini mi voleva far tornare a Milano. L’obiettivo era tornare all’Inter e poter concludere quello che avevo lasciato in sospeso quando me ne andai”.
La pressione è enorme. Prima partita in Supercoppa, Inter-Roma. Dopo mezz’ora, eravamo sotto di tre a zero…
“Io non dovevo giocare quella partita. Ero appena arrivato dopo il Mondiale di Germania, non ero in forma. Però eravamo sotto di tre gol, poi Vieira accorcia e allora Mancini mi chiede di entrare. Non è stato semplice approcciarmi alla nuova realtà, anche a causa del mio passato milanista. Dentro di me avevo molta rabbia, non potevo ripresentarmi ai tifosi perdendo una Supercoppa in casa. Ho scommesso su questo sogno, io volevo solo vincere. E’ contato il cuore, poi Stankovic pennella un cross magico e io la riapro definitivamente. In quel momento, tra me e i tifosi rinasce l’amore perché in quel gol c’erano tutte le emozioni di rabbia e voglia di rivalsa. Ce l’abbiamo fatta”.
La prova del nove di quella stagione è il derby, uno dei più belli degli ultimi quindici anni…
“Abbiamo fatto un derby da Inter. Andammo sul 4-1, poi Marco dedica il gol ai figli e rimaniamo in dieci. Come se non bastasse questo, Vieira si fa male e noi rimaniamo senza cambi. Stavamo vincendo agilmente, potevamo fare altri gol, ma abbiamo iniziamo a soffrire e abbiamo dovuto tener duro fino alla fine. Dopo tante sofferenze, stavamo iniziando a riprenderci tutto”.
Come si affronta una stagione sapendo di essere condannati a vincere lo Scudetto?
“Iniziammo la stagione consapevoli di dover vincere. Avevamo gente con le spalle larghe, quindi prendemmo di petto le responsabilità e affrontammo tutto da squadra. Abbiamo ammazzato il campionato quando andammo all’Olimpico e vincemmo 0-1 grazie ad un mio gol. Non ce n’era per nessuno quell’anno. La situazione era chiara: non volevamo vincere, volevamo stravincere. Questo ci ha portato alle diciassette vittorie consecutive. E’ stato simpatico anche segnare il mio duecentesimo gol in Europa quella stagione, contro il Parma: avevo segnato il primo con la maglia crociata contro l’Inter, poi si invertirono le circostanze…”.
Cosa è cambiato l'anno dopo?
L’anno successivo fu più difficile, soprattutto per l’addio di Mancini. Più che festeggiare lo Scudetto, fu un sollievo, era una sofferenza. Dopo la partita di Liverpool la situazione era davvero difficile, una parte di squadra non c’era più. Fu davvero un sollievo”.
Poi Mourinho arriva e cambia: prima il 4-3-3, poi il 4-4-2. Tu riesci a trovare spazio lo stesso...
“Sì, quella stagione era l’ultimo ballo per molti di noi. Sapevamo che alcuni avrebbero lasciato la stagione, ma io volevo assolutamente vincere con l’Inter. A gennaio venne a chiamarmi il Real Madrid perché si era fatto male Van Nisterlooy, ma io dissi di voler rimanere a tutti i costi a Milano per vincere un altro campionato in nerazzurro, consapevole del fatto che non mi sarebbe stato rinnovato il contratto. E’ stato bello segnare il gol scudetto una settimana prima di vincerlo: vincemmo con il Chievo, poi il Milan perse l’anticipo e noi festeggiammo in ritiro”.
Dopo l’Inter, Genoa e Parma…
“Dico la verità: io ho continuato a giocare fino a trentasei anni, ma in realtà ho smesso quando ho lasciato i nerazzurri. Con il Parma lottammo per non retrocedere e io ero al tramonto della mia carriera. Ma non mi aspettavo di avere una storia del genere, guardandomi indietro non posso che essere contento”.
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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