Si è lasciato andare totalmente Ivan Ramiro Cordoba nella lunga ed interessante intervista rilasciata alla trasmissione di Sky Sport 'I Signori del Calcio', condotta da Paolo Rossi e Gianluca Vialli. Il colombiano ha parlato di Mourinho, ma anche di tutti gli altri tecnici che ha avuto all'Inter, di un eventuale futuro da tecnico, del suo 'terrore' per Shevchenko e di tanti altri argomenti. Vi proponiamo di seguito la versione integrale dell'intervista:
Ivan, ci puoi dare un giudizio su tutti gli allenatori che hai avuto?
"Da ognuno sono riuscito ad imparare cose buone e cose magari anche non positive che però danno esperienza, aiutano ad avere una visione diversa. Sono arrivato con Lippi, in una grandissima squadra, non ho avuto dubbi sulla decisione di venire all’Inter o meno. Lui mi ha dato subito molta fiducia, mi ha fatto giocare sempre e tatticamente era molto capace, e lo è ancora, visti i risultati con la Nazionale. Poi, con lui, i risultati non sono arrivati e, come succede per gli allenatori, è andato via. Poi c’è stato un periodo poco positivo con Tardelli, forse il nostro periodo più difficile, in cui siamo anche arrivati a lottare per la retrocessione, una cosa che ha toccato talmente i tifosi che ha portato a contestazioni come quella delle sedie lanciate dal secondo anello".
E’ stato il momento forse più basso della storia recente dell’Inter?
"E’ stato un periodo molto difficile però questi momenti ti aiutano ad essere più forte, ad affrontare quello che arriva. E così è stato. Poi Cuper. Aveva preso una squadra poco ordinata, anche come gruppo, non giocavamo bene e lui ha iniziato a costruire l’Inter di adesso. Ha avuto la sfortuna di non riuscire a vincere, anche se lo avrebbe meritato. Zaccheroni, poi, era un allenatore molto tattico, ci faceva vedere tanti video delle partite per rimediare agli errori. Mancini è stato bravo a saper gestire le motivazioni ed il gruppo per continuare a vincere. Ora con Mourinho tutti sappiamo di dover continuare a fare bene e che sarà lui a farci fare il salto di qualità per riuscire a vincere quello che aspettiamo tanto, la Champions. Piano piano il gruppo diventa sempre più forte e questa è la cosa più importante".
A livello personale, fisico, la tua esperienza con Mancini si è chiusa con l’infortunio più grave della tua carriera. Hai avuto paura di non riuscire a tornare ad essere lo stesso di prima?
"La paura ti viene quando vedi che una tua gamba è la metà dell’altra ed il ginocchio ti fa molto male. Allora pensi: “Come farò a recuperare quello che avevo prima?“. Io, però, guardavo molto Maxwell, in quel momento. Lui aveva avuto un infortunio più grave del mio e vedevo che giocava bene, stava bene, magari non l’ho mai detto a lui, ma quello mi ha aiutato tantissimo. Lo guardavo e dicevo: “Anch’io ce la farò“. Ho iniziato a lavorare e piano piano il ginocchio è tornato a darmi la possibilità di giocare quasi ai miei livelli".
Come stai vivendo questa fase della tua carriera? Rispetto a prima giochi con meno continuità. Come ti sei calato in questo ruolo? E’ una cosa che si accetta? "Si accetta e non si accetta. E’ un rispetto per gli altri compagni che magari giocano poco, bisogna accettarlo perché fai parte di una squadra importante e sei lì per dare qualcosa in più, nel bene e nel male. All’inizio è stato molto difficile perché venivo da una stagione piena di gioie, fino all’ultima partita facevamo i calcoli per riuscire a prendere meno gol possibili e restare la miglior difesa, ci siamo anche riusciti. Poi, è iniziata la nuova stagione, ho cominciato a capire qualcosa, soprattutto per l’arrivo di Lucio, e mi sono detto: “Quest’anno sarà molto dura“, però non mi sono mai dato per vinto, ho continuato a lavorare e mi sono sentito sempre come un titolare".
L'attaccante più forte che hai dovuto affrontare?
"Ho avuto come compagni grandi attaccanti che poi ho ritrovato da avversari ma non nel loro miglior periodo: Ronaldo, Vieri e Roberto Baggio. Shevchenko è uno che mi teneva sempre sveglio, tutta la partita. A volte riesci ad avere un attimo di tranquillità, con lui no".
E il goal più importante che hai fatto? Nell’Inter o nella tua carriera?
"Quello che ci ha fatto vincere la finale di Coppa America. E’ stato sicuramente il più significativo. All’Inter mi ricordo un bel goal contro il Newcastle, in Champions, per un 2-2 che ci ha permesso di passare il turno perché stavamo perdendo in casa 2-1. Poi, i due goal che ho fatto dopo il ritorno dall’infortunio al ginocchio: contro il Napoli, perché se non avessi avuto l’infortunio non avrei fatto quel goal, forse il ginocchio avrebbe avuto meno forza, e poi quello contro la Reggina, che è stato strano per me: stop e goal alla Crespo. A continuare a vedere come ci segnava Crespo in allenamento, qualcosa ho imparato".
Ti vedi nel calcio quando smetterai di giocare?
"Sì, facendo ancora qualcosa di positivo. Non mi vedo come allenatore. Poi, non si sa mai perché mi mancherà il campo, l’agonismo e da allenatore queste cose le senti più vicine però, non mi sento di fare l’allenatore, mi piacerebbe fare qualcosa a livello dirigenziale".
Un’ultima cosa. C’è una parola spagnola, suerte. Ti senti una persona fortunata?
"All’inizio dicevo che non credevo nella sorte, credo in Dio, ho tanta fede e su quello mi baso, però ho letto qualcosa che per me è stato molto importante sul significato della sorte. La sorte è dove si incrociano, il lavoro, quello che fai, e il destino, quindi se tu fai le cose bene e queste si incrociano col destino, ecco un momento di fortuna. In questo senso mi sento una persona fortunata, perché ho avuto tantissimo e questo è stato il vero motivo per devolvere qualcosa. Sento di avere ottenuto tanto e mi sento il dovere di dare qualcosa. Per questo abbiamo creato la nostra fondazione, per cercare di aiutare chi ha meno".
Autore: Fabrizio Romano
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