"Solo il fascino della Premier poteva convincermi a tornare in pista così presto". Parole e musica di Antonio Conte, che ai microfoni de La Gazzetta dello Sport spiega la scelta di sposare il Tottenham dopo l'addio all'Inter: "Quando il presidente Levy mi ha cercato la prima volta a giugno, l’avevo ringraziato ma non me l’ero sentita. Il biennio con l’Inter premiato con uno scudetto di cui nel tempo si capirà meglio la straordinarietà per la mole di lavoro svolta in soli due anni per vincerlo, abbattendo l’egemonia della Juve, aveva lasciato tante tossine da smaltire. Un lavoro totalizzante e durissimo, culminato nella gioia per il risultato raggiunto, ma anche nella grande delusione per il cambio di programmi e prospettive che hanno portato alla separazione. Avevo bisogno di staccare la spina. Ma quando Levy è tornato alla carica mi ha convinto dimostrando di volermi a tuti i costi. Nel suo progetto ho percepito la visione. Una parola a me molto cara...".


Vincere qui è la sfida più grande della sua carriera?
"Ho sempre preso squadre che venivano da momenti difficili, in cui si doveva ricostruire: la Juve era fuori dalle Coppe, la Nazionale era uscita ai gironi al Mondiale 2014, il Chelsea veniva da un decimo posto, l’Inter non vinceva dal 2010... Non ho mai fatto scelte comode, ma questa del Tottenham è certamente la più difficile e per questo anche la più stimolante".




Il capolavoro della sua carriera invece qual è stato?
"Ricreare il ciclo della Juve è stato duro, perché ce la giocavamo contro il Milan di Ibra, Nesta e Thiago Silva; contro l’Inter del Triplete e il Napoli di Cavani, Lavezzi e Hamsik... Ma il vero capolavoro è stato lo scudetto con l’Inter. In due anni abbiamo rovesciato una monarchia sportiva. Se non ci fossimo stati noi a interrompere il ciclo bianconero, la Juve sarebbe ancora lì davanti. Quando batti qualcuno, ne mini le certezze".




Avrebbe mai pensato sei mesi fa di ritrovarsi in Premier con Lukaku e Ronaldo?
"No, assolutamente. Non pensavo potesse finire la mia avventura nerazzurra".


Più stupito della partenza di Romelu o di CR7?
"Sono situazioni diverse. Ma quando si crea l’opportunità di tornare da protagonisti in Premier è difficile dire no. Sicuramente la loro partenza ha impoverito il calcio italiano. Sono due stelle".




E ha avvantaggiato magari la fuga in vetta di Milan e Napoli... Come vede la corsa scudetto?
"Al momento sembra una corsa a tre insieme all’Inter. Ma ora sono impegnato a pensare a chi lotta al vertice in Premier...".




Quale è la prima differenza percepita nel ritornare in Premier rispetto alla Serie A?
"La maggiore intensità e il minore tatticismo che rendono le partite più spettacolari. Si va a folate continue. C’è un atletismo diverso. Se un giocatore non è forte, veloce e resistente, in Premier non può giocare. Anche i giocatori piccoli qui sono fatti di granito. Il campionato inglese ti migliora: vale per i calciatori, ma anche per gli allenatori. Ed in generale è l’ambiente intorno, lo spettacolo in campo, il rispetto per i protagonisti, la maniera di vivere la partita come un grande evento sportivo che è diversa rispetto all’Italia. Qui si respirano meno veleni e polemiche".





A proposito di Nazionale: in quattro mesi da campioni d'Europa ai play off per andare al Mondiale... Che è successo?
"Abbiamo vinto un Europeo stupendo tutti, anche noi stessi. Quando imprese così, un po’ impreviste, accadono vuol dire che tutto ha funzionato alla perfezione e le stelle erano tutte allineate. Durante il percorso europeo sono cresciuti entusiasmo e fiducia. Ci siamo meritati gli episodi favorevoli: la palla che prende il palo ed entra, il gol di Arnautovic annullato per un niente, il giocatore che si fa male e chi lo sostituisce risolve la partita, le sfide con Spagna e Inghilterra vinte ai rigori... Dopo che diventi campione però, crescono le pressioni, gli altri contro di te giocano la partita della vita, le aspettative aumentano. E magari ti capita che la palla dopo aver preso il palo stavolta esce, che il gol avversario è valido e che sbagli due rigori con la Svizzera tirati da uno, Jorginho, che non li sbaglia mai. L’Italia deve recuperare la magia, l’alchimia giusta, la rabbia. E sperare che le stelle tornino ad allinearsi".




Manca un grande attaccante.
"Non abbiamo top player come Lukaku o Kane. Però non sviliamo Immobile. Per me resta imprescindibile. Viene sottovalutato il lavoro che fa: ogni partita invece corre più di tutti, attacca la profondità, lotta".




Ce la faremo a qualificarci?
"Spero di sì. C’è solo un avversario da temere: il Portogallo. È una squadra forte, piena di giocatori di qualità, non solo Ronaldo. Le altre non mi preoccupano, ma con loro la sfida è alla pari".




Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 20 novembre 2021 alle 08:15
Autore: Stefano Bertocchi
vedi letture
Print