Spal, Inter, Milano, Ferrara, fine gennaio, pianura padana: il minimo comune denominatore, manco a dirlo, è la nebbia, quella che ogni buon meridionale come me credeva di trovare a banchi densi come fossero di acciaio non appena sceso dal treno. La nebbia, a Milano, fa invece capolino solo in alcuni momenti, solo in alcune zone, proprio laddove la città, il progresso o quel che è non sono ancora arrivati col proprio potere contaminante. Da qualche settimana, eccola lì, a offuscare anche gli occhi di Luciano Spalletti, sì proprio lui, quello che fino a ieri ci pareva l’unico albero affidabile in mezzo a una serie di fuscelli pronti a piegarsi al primo colpo di vento, com’è puntualmente accaduto. Sia chiaro, però: un rapido giro sui social consentirà al malcapitato di verificare che qualche buontempone, evidentemente abituato a ciò che dura poco, ha già dato il via alla campagna #spallettiout; magari non ora, magari a fine stagione, ma Spalletti sarebbe a suo dire inadatto all’ambiente nerazzurro perché volubile di carattere, troppo incline alle mattane, ormai in preda a una sorta di delirio che, da qui a maggio, lo condurrà a far sparire la parola Inter anche dalla Treccani. Ecco, prendiamo le distanze, come farebbe anche un sano di mente qualsiasi incontrato per strada. Diverso, invece, è riconoscere che l’ex Roma, archistar dell’Inter cinica e solida di inizio stagione, abbia commesso un numero rilevante di errori nelle ultime settimane. Non c’è eresia, non c’è malizia né volontà di epurazione; semmai, anzi, meglio rivestirsi di umili stracci e del rispetto che si deve a chi è più competente di te, non fosse altro perché qualcuno lo paga (non male, tra l’altro) per questa ragione.
In linea di massima, l’allenatore ha infatti sempre ragione rispetto a chi parla da fuori, anche perché, di solito, chi parla da fuori parla dopo; inoltre, l’allenatore ha il quadro della situazione, sente cosa dicono e si dicono i suoi calciatori senza che questi ricorrano all’abbecedario di frasi fatte che son soliti snocciolare davanti alle telecamere, li vede sul campo e fuori ogni giorno. Le scelte di un tecnico, in questo senso, sarebbero indiscutibili. Nelle scelte, però, esiste sempre una seconda componente, che potremmo definire ‘di principio’: c’è il tecnico che osa di più, quello più pauroso, quello che ama affidarsi allo zoccolo duro e quello che nella tempesta ricorre alle rivoluzioni. Di solito, a vincere è chi sa essere un po’ di tutto questo, mentre gli integralisti, inevitabilmente, soccombono. Questi principi, a differenza delle scelte puramente dettate da quanto visto in settimana sui sempre più preclusi campi di allenamento, sono a pieno diritto discutibili dagli addetti ai lavori e dai tifosi stessi.
Ecco dunque che, nelle ultime Inter proposte da Spalletti, qualcosa stona, anche per i palati meno fini. Appare difficile, ad esempio, capire lo spostamento di Cancelo a sinistra nel giorno del rientro di D’Ambrosio: in mezzo a tanto scempio, il portoghese era stato l’unica nota realmente positiva delle ultime uscite, un giocatore che spariglia le carte come pochi. Non possiamo pensare che tale trovata sia stata suggerita da esigenze di copertura, visto che sulla fascia destra della Spal correva Lazzari, ben più pericoloso e tecnico del collega mancino Mattiello. D’Ambrosio, dal canto suo, aveva già ricoperto quella posizione a Torino e, in qualche caso, all’Inter: certo, il campano lì non dà il suo meglio, ma siamo sicuri che la sua maturazione da centrale aggiunto sarebbe potuta essere più adattabile a quella zona del campo rispetto all’interpretazione di Cancelo, uno che sul lato sinistro è spesso costretto ad accentrarsi sul piede giusto già a centrocampo. La spinta del portoghese, fatti salvi il cross dell’autorete e un buon tiro da fuori, è stata di fatto annullata da questo accorgimento, e anzi l’ex Valencia è tornato a palesare i suoi famosi limiti difensivi. D’accordo, esiste un asse D’Ambrosio-Candreva che Spalletti voleva forse riproporre per tornare ad affidarsi alle poche certezze che ha, ma –una volta tirato fuori l’ex Lazio al 45’ – l’errore iniziale poteva essere sanato con un normalissimo scambio di posizione tra i terzini.
E ancora, perché operare il primo cambio all’intervallo e riservarsi gli ultimi due per gli sgoccioli della partita? Eder, che nelle intenzioni del tecnico avrebbe dovuto vedere la porta meglio di Candreva, a destra fatica senz’altro più che a sinistra o al centro, ma il Perisic invisibile degli ultimi tempi pare godere di una sorta di immunità. Sull’ennesimo tentativo di rianimazione nei confronti di Brozovic, la scelta appare più comprensibile, ché le doti del croato sono evidenti: se poi la sua testa il più delle volte vaga per praterie ben lontane dal campo di gioco, Spalletti può poco, almeno finché non avrà di meglio a disposizione. Rafinha, col suo ingresso a tempo scaduto, non può essere ancora annoverato tra le colpe del tecnico, visto che magari il brasiliano, al momento, non può disputare più di quei 5’-10’. Non possiamo saperlo, dopotutto, e quindi largo al beneficio del dubbio. Diverso, e in qualche modo curioso, è il discorso inerente alla virata sul 4-3-3: già con la Roma si era visto bene che le due mezzali salivano insieme, lasciando da solo il buon Gagliardini a inanellare una figuraccia dopo l’altra; ieri, se possibile, ancora più confusione, e ci sta, ci sta tutta. L’Inter infatti non ha un Torreira o un perno basso qualunque, ha solo mezzali. Difficile, se non impossibile, che uno dei centrocampisti possa ben figurare da mediano solista, più semplice che facciano tutti meglio se disposti nell’ormai rodata mediana col vertice alto.
Potremmo poi parlare della solitudine (spesso colpevole) di Icardi, della fiacchezza di Borja, della scarsa incisività che a tratti manifesta anche Vecino. Potremmo starci ore, ma non è utile discutere di ciò che è vecchio e risaputo. La novità, in qualche modo clamorosa, è l’offuscamento che pare aver colpito Spalletti nelle ultime occasioni: lui è la roccia, lo è stato per mesi, e se si inabissa rischiamo di finire tutti a esplorare i fondali con lui. In attesa di capire come si concluderà il mercato, può essere già utile, appunto, il fatto che si concluderà presto: qualsiasi motivo abbia condotto Spalletti agli umani (e opinabilissimi) errori di cui sopra, c’è bisogno che torni al più presto alla marcata lucidità cui ci aveva abituato. È una stagione particolare, quasi da dentro fuori, e quando hai l’ansia vedi tutto nero: quei suoi occhi spiritati devono tornare a illuminare il buio.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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