Oggi presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio, si è svolto il Convegno “Contro la violenza. Riportareil calcio a misura d’uomo”. Il capitano dell'Inter Javier Zanetti ha presentato il suo libro "Giocare da uomo". L'argentino, intervistato da Gianni Riotta, con cui ha scritto la biografia, ha detto:
Parli spesso del lavoro, quando hai lavorato in cantiere. Quest'estate ti allenavi da solo a Buenos Aires. Che cos'è per te la cultura del lavoro?
"Prima di tutto per me è un onore essere qui. Per me il lavoro è tutto. Io ho imparato così da bambino, con i miei genitori come esempi, da mia mamma e mio padre, che era un muratore. Loro facevano sacrifici enormi per non far mancare nulla a me e mio fratello. Questa cultura mi ha accompagnato fino ad oggi. Vederli lavorare dal 6 del mattino a quelle del pomeriggio mi hanno fatto capire tante cose. Questa educazione mi è servita da calciatore e nella vita, dove è più importante. Non c'entrano vittorie e sconfitte, serve lavorare sempre. Se hai obiettivi importanti è la miglior medicina, lavorare, crescere e sbagliare. Poi saper riconoscere gli errori per crescere. E ricordare che si è professionisti sempre. Per il problema degli stadi bisogna tornare alla base, l'educazione è fondamentale. Non mi piace la parola sistema, mi piace la parola unione per non far facile la vita a chi vuole rovinare il calcio. più siamo e meglio è".
La sconfitta nella semifinale di Champions col Barcellona: tu hai detto a Eto'o di farsi forza che mancava poco, ed era il trentesimo del primo tempo. Raccontaci cosa è successo?
"E' stata una partita complicata per l'espulsione di Motta ed interminabile. La sofferenza dei tifosi era la stessa che si sentiva in campo. Samuel mi ricordo che ha fatto più il difensore dell'attaccante, non aveva capito che intendevo del primo tempo (ride ndr). Sapevamo che di fronte c'era una grandissima squadra. Ha prevalso la nostra voglia di arrivare in finale. E' stata una emozione immensa al fischio finale. Già arrivare in finale è stata una emozione, ma noi abbiamo fatto il percorso sapendo di potercela fare".
Cosa fate nella Fondazione Pupi e se ci puoi dire cose vi siete detti nell'incontro con il Papa?
"Per noi la Fondazione è importantissima, iniziata nel 2001 quando in Argentina la situazione era complicata, per i bambini soprattutto. E' nata con Paula e degli amici. Iniziammo con una trentina di bambini a Buenos Aires e ora aiutiamo più di mille persone, tra bambini e famiglie. Ringrazio tutti voi che aiutate e vi fidate di quello che facciamo in questa fondazione. Incontrare il Papa è stato un momento emozionante, con la mia famiglia. E' un momento non dimenticherò. Abbiamo parlato anche di calcio. Tifa il San Lorenzo e mi ha recitato la formazione di tanti anni fa. Poi dei problemi in Argentina e Italia. Cedo che serva unirsi per aiutare i bambini che soffrono".
Dici che la parte migliore del calcio sono i calciatori, chi va in campo. Perché?
"Perché al di là di quello che facciamo in campo e fuori, ci sono tanti interessi che fanno dimenticare la bellezza dello sport. Per questo, sbagliando o no, i calciatori sono quelli che rimangono".
Qual è il futuro di questa squadra?
"Io sono molto fiducioso. Credo che siamo in un percorso nuovo. Il cammino è lungo e dobbiamo migliorare. Io ho grande stima per l'allenatore e per il gruppo che sta nascendo".
Ci racconti l'episodio della candela e quello della cena da Milito?
"Io sono devoto a Santa Rita e la finale di Champions era il 22. Ho aspettato la mezzanotte per accendere candela. Poi Milito: partita Roma-Samp, Diego mi invita a mangiare una pizza e guardiao la partita. Era appena nata sua figlia. Nel primo tempo la Roma vince 1-0, con pali e traverse. Diego era incazzato e io gli ho detto che la partita era lunga. Prende in braccio la bambina e la Samp pareggia. Poi si addormenta e arrive il 2-1. La moglia di diego voleva portare la bimba a letto e lui le ha detto di lasciarla lì dov'era (ride ndr). Poi per fortuna la partita è finita così".
Riotta poi racconta un aneddoto non presente nel libro: presentiamo il libro a Milano con una folla il doppio di questa, un ragazzino cinese dà il suo al capitano per l'autografo e scoppia a piangere. Poi javier chiama qualcuno dello staff che si avvicina al bambino e gli dice qualcosa. A cena, dopo un po', il ragazzino era al nostro tavolo del ristorante ed ha mangiato con noi.
Tu sei cittadino argentino e i tuoi figli italiani. Questo è il cuore della Repubblica. Cosa chiedi alla politica?
"Io credo che serva puntare sull'educazione. E' fondamentale, mi rendo conto dei problemi che accadono, ed in molti casi è per mancanza di educazione. Dobbiamo fare sì che sia un inizio per migliorare non solo in Italia, ma nel mondo intero. Si vedono cose molto tristi. Se vogliamo un mondo migliore per i nostri figli dobbiamo insegnare loro la strada".
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