Direttamente da Sky, Gianfelice Facchetti parla del suo libro sul padre, ‘Se no che gente saremo’, raccontando le tante sfumature della vita del padre: “Ho cercato di ricostruire la vita sportiva di papà. Non amava raccontare le sue gesta. Quando ha smesso di giocare ero piccolo, avevo quattro anni. In questi anni mi sono documentato con le cronache e i racconti di mia madre. A tal proposito ho rispolverato una lettera di papà a lei oltre a una foto in cui mia madre lo accompagna alla stazione per partire verso Coverciano, dove c’era la riunione della Nazionale. Bello vedere le facce delle persone che li osservano. Specchio d’altri tempi”.

La frase da cui è stato tratto il titolo del libro, tratto da un film di Giovanni Arpino, padrino di Gianfelice: “Mio padre promise lui che se fosse nato un figlio maschio, Arpino ne sarebbe stato il padrino. Quando nacqui, papà  disse a d Arpino che mi avrebbe battezzato. Lui quasi non ci credeva che si fosse ricordato. Nemmeno mia madre. Papà gli disse che ciò doveva essere per forza ricordato e poi coniò quella frase, che diede lo spunto ad Arpino per il film”. L’affetto altrui ha fatto superare la perdita del padre: “Non immaginavo tanto affetto. E’ stata una fortuna averlo avuto. Nel periodo in cui papà si curava, mio nipote giocava nell’ala gioco con i bambini malati. Era un’ingiustizia vedere tutto ciò. Papà, invece, aveva 65 anni e aveva fatto tutto quello che poteva fare nella vita e sul campo da gioco. Non dico che fosse nell’ordine naturale delle cose, ma comunque un qualcosa che col tempo può essere accettato”.

Sulla macchina del fango che tenta di sporcare l’immagine del padre: “Prima ho intrapreso azioni legali, ma poi ho deciso di rimanere in silenzio. Non c’è molto da dire. Narducci ha parlato, ieri, e ha detto cose importanti sul quale non c’è bisogno di tornarci. Dal lato sportivo, mi chiedo come mai l’accusa nei confronti di mio padre pesi come un giudizio. Quest’uomo non può più difendersi e non ci sarà un avvocato che possa rappresentarlo e un giudice che possa emettere una sentenza. Non è giusto, non lo dico perché si tratta di mio padre. Ciò non lo avrebbe meritato neanche il peggior criminale”. 

Aneddoto sul 18 luglio, giorno della decisione del Consiglio Federale sullo scudetto 2006 : “Col figlio di Scirea parlavamo di Inter e di Juve con tranquillità. Non ci importava un fico secco di quello che stava accadendo riguardo lo scudetto”.

Sezione: FOCUS / Data: Mer 14 settembre 2011 alle 11:04 / Fonte: Sky
Autore: Alberto Casavecchia
vedi letture
Print