Bella intervista di Mattia Destro su SportWeek, il settimanale della Gazzetta dello Sport. L'attaccante del Siena ha brevemente parlato anche di Inter e del suo addio. «Sono stato in prima squadra nell’anno del Triplete. Ero un ragazzino e davanti avevo dei mostri: cosa potevo pretendere?». Poi Destro non risponde alla domanda sulla presunta mancanza di fiducia della società, che l'ha ceduto definitivamente al Genoa (alza la mano, sorride, beve il suo tè alla pesca).
Suo padre è Flavio, ex terzino di Ascoli e Cesena: viene spesso a vederla giocare?
«In casa, sempre. C’è pure mamma».
Non li porta a cena, dopo la partita?
«Se vinciamo, festeggio in qualche locale con i compagni. Se perdiamo, rimango in casa con loro».
Dunque pensa al calcio e basta?
«Macché: ci penso le due ore di allenamento, poi stacco la spina».
Allora convoglia le sue energie mentali sulle ragazze.
«Ah, tanto».
Bionda o mora?
«Tutte e due. Ancora non ho capito quale mi piace di più. Sono felicemente single. Così mi diverto di più».
E il resto del tempo libero?
«Lo passo con Luca Giorgi e Andrea Rossi, due compagni di squadra nati dalle mie parti. Uno è di Ascoli Piceno, la mia città, l’altro è di San Benedetto del Tronto. Rossi e io siamo andati via molto giovani: ricordare è un modo per tenere vivo il legame con casa».
Qual è il ricordo più bello che ha di sé bambino?
«Fa ridere dirlo, ma è legato alla scuola. Ho cominciato col calcio molto presto e le rinunce sono arrivate subito. Ho perso la gita di gruppo in seconda e terza media, per esempio. Cresci, e ti sorprendi a pensare: però, è stato un peccato».
Suo padre l’ha riempita di consigli?
«Mi ha detto le cose giuste per aiutarmi a non sbandare: ricorda che quello che hai fatto finora non vale domani».
Con un papà ex calciatore avrebbe potuto avere un destino diverso?
«La passione per il calcio è mia, ce l’ho dentro io, ero io a giocare anche quando non avevo allenamento, per strada. Cose come questa, un genitore non può trasmetterle».
Il consiglio più frequente di sua madre, invece?
«Quando fai le cose, mettici la testa. Rifletti. Non agire d’istinto».
Lei è istintivo?
«Più che altro, ho personalità».
Eppure, quando era nella Primavera dell’Inter, si diceva che lei fosse uno di talento, ma con poca personalità.
«Punti di vista. Per me, avere personalità non vuol dire fare casino in campo o nello spogliatoio. Personalità è restare in silenzio, guardando gli altri in un certo modo. Avere la fiducia dei compagni. Non è una qualità innata, si costruisce piano piano».
C’è evidentemente riuscito, se ha preso il suo allenatore in braccio dopo un gol.
(ride) «È successo quando ho segnato l’1-0 al Chievo, a ottobre. Sono corso verso la panchina, Sannino era di spalle, l’ho aferrato per le braccia e l’ho tirato su».
E lui?
«È rimasto rigido senza aprire bocca finché non l’ho rimesso a terra».
Perché lo ha fatto?
«Sannino parla sempre, da 15 minuti prima a 10 minuti dopo la partita. Quella volta era pure peggio, un sottofondo continuo, come una radio. Non ne potevo più».
Pare di capire che ha un rapporto conflittuale col tecnico…
«Veramente, con gli allenatori io ci litigo subito, al primo impatto».
Perché?
«Boh. Forse sono fatto male io caratterialmente. Forse all’inizio sto troppo sulle mie, perché di base sono diffidente. Forse è perché loro vedono in me qualcosa che io ancora non sono riuscito a capire. Poi le cose si aggiustano, e ci conquistiamo reciprocamente».
È andata così anche con Sannino?
«Con lui non ho ancora finito. È una lite continua. Lui vuole certi movimenti, io a volte mi scordo di farli. Così mi urla dietro. Ma è il rapporto che preferisco, e lui agisce a fin di bene. Ma non scriva che litigo con gli allenatori, se no non mi chiama più nessuno».
Al lunedì guarda le pagelle?
«Se è andata bene, no. Se abbiamo perso, sì: voglio verificare se il giornalista e io abbiamo visto le cose allo stesso modo».
Del calcio cosa ha imparato subito?
«A stare attenti a quello che si dice. E a fare una vita regolare».
Vive solo: sa cucinare?
«No. Niente. Però con l’aspirapolvere sono un mago».
È vero che ogni settimana va dal parrucchiere?
«Questa storia è nata perché ho fatto gol dopo esserci andato al venerdì. Quello successivo ci ho riprovato, e ho segnato di nuovo. Ora vado ogni due-tre, perché non ho più segnato con regolarità, e perché se no si cancellano le linee che porto di lato».
È scaramantico?
«Sì. Prima di ogni partita faccio sempre gli stessi due gesti nello spogliatoio, ma non si dicono. Sul pullman della squadra ho un posto fisso e ascolto due canzoni in successione: la prima è di Jennifer Lopez, la seconda è Danza Kuduro».
Calcioscommesse: ci spiega come fa uno di serie A a vendersi per 50mila euro (Andrea Masiello, ndr)?
«Non me lo spiego, infatti. Forse sarà stato costretto».
Poi ci sono quelli che sanno e non parlano. Farebbe lo stesso?
«No. Ora bisogna denunciare. Devi».
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