Intervenuto ai microfoni di Radio Nerazzurra, Beppe Bergomi ha rilasciato una lunga intervista. Di seguito le sue dichiarazioni. Si inizia con un ricordo: "Il 27 aprile ricorreranno i 40 anni dallo Scudetto di Bersellini. Quella stagione mi allenavo con la prima squadra, ma non ho mai esordito in campionato. La riapertura agli stranieri c'è stata l'anno dopo. Bersellini ci ha massacrati di lavoro, siamo cresciuti tantissimo sul piano fisico grazie a lui".

In caso di ripartenza del campionato, può fermarsi tutto anche con un solo caso positivo.
"Il rischio c'è, assolutamente. Io sono in contatto con il dottor Volpi, medico dell'Inter: è risultato positivo, ha fatto cinque giorni molto duri ed è stato ricoverato. Mi ha detto: "Beppe, qui tutti pensano a ripartire, ma devono decidere i dottori". Dovremo accettare con coraggio certe decisioni. Se con questo protocollo molto rigido le cose dovessero andare, io sono per finire il campionato. Se possiamo riprendere, riprendiamo".

Sei favorevole ai playoff nel calcio?
"Bisogna partite con un certo tipo di regolamento e finire con lo stesso. Sono esperto di playoff, per il calcio sono contrario. In questo momento Juventus, Lazio e Inter sono in un range di punti accettabile, le altre sono staccate per poter lottare allo Scudetto.

Sulle sfide con la Stella Rossa:
"Penso di aver fatto due partite molto buone, sia all'andata che al ritorno. Marcavo Petrovic, regista avanzato, l'uomo più temibile della Stella Rossa. Al ritorno, dopo l'1-1 dell'andata, abbiamo fatto gol e ci siamo difesi: la classica partita vecchio stampo".

Quando ti sei sentito al culmine della tua carriera?
"La consapevolezza è arrivata dopo, io ho ottenuto quasi tutto subito. Ho vinto il Mondiale, la Coppa Italia, giocato la Coppa dei Campioni molto preso. Nella stagione 1982/83 io avevo 18 anni, ero militare e al tempo stesso campione del mondo in carica: non è stato facile, perché tutti si aspettavano tanto, ma mi sono sempre sentito parte del progetto. Dopo il Mondiale, discutendo del rinnovo Mazzola mi disse: "Prendi 24 milioni di lire". Mi ero portato mia mamma per trattare, mi disse: "Prendili". E li ho presi".

Il momento più bello con la maglia dell'Inter?
"L'anno dello Scudetto dei record: l'Inter quando cade sa sempre rialzarsi per fare cose straordinarie. Questo è il nostro DNA, ne sono convinto".

E il più brutto?
"Non aver vinto lo Scudetto del '98. Ci sono delle ferite che restano aperte e si fa fatica a rimarginarle. Senza andare nelle polemiche, però quella è una stagione che ha cambiato il destino di tanti. E anche la mia storia all'Inter. Tutto qui, non dico altro".

C'è una partita che ricordi più delle altre?
"La rimonta a cui sono più legato, quella con l'Aston Villa: avevamo perso 2-0 in Inghilterra, poi abbiamo rimontato al ritorno con un 3-0. Quella partita ci diede la consapevolezza di poter riportare una coppa europea a Milano".

Ruben Sosa e Bergkamp litigavano davvero?
"No. Litigare con Ruben Sosa era troppo difficile. Almeno io non ricordo. Era una stagione particolare: siamo ripartiti dopo il secondo posto. Bagnoli era bravo con 11-12 giocatori, poi la rosa si allargò. A stagione in corso, e fu un'annata particolare, ci siamo concentrati maggiormente sulla Coppa tralasciando il campionato".

Cos'è essere interisti?
"Ho fatto il capitano per tanti anni, c'era un mio allenatore che mi diceva: "Scambiare la fascia non vuol dire scambiare il gagliardetto con l'altro capitano". Devi essere un esempio, far capire ai giovani e agli stranieri che arrivano cosa significhi indossare questa maglia, questi colori. Devi trasmettere il senso di appartenza. Io mi sono sempre ritenuto un leader silenzioso: non parlavo troppo. Mi comportavo in una determinata maniera per far capire cosa fosse l'Inter. I nostri valori sono diversi da tutti gli altri. Né migliori, né peggiori: diversi. Quando cadiamo, ci rialziamo sempre. Siamo gente di carattere. Per me l'Inter è questo: sono stato qui vent'anni, ho avuto delle proposte per andare via ma non sono mai partito. Anche a fine carriera, nonostante le cose non andassero bene, non ho mai pensato di giocare in un'altra squadra che non fosse l'Inter".

Hai avuto la possibilità di giocare in altre squadre, quindi.
"Si affacciarono sia la Roma che la Lazio. Ma Bagnoli, in milanese, mi disse: "Ma tu dove vuoi andare? Sei il più forte, devi restare qua". Io gli risposi che non volevo andare da nessuna parte". Un'altra volta Trapattoni mi parlò nella palestra di San Siro, prima di un Inter-Juve. Mi chiese: "Ma tu ci verresti alla Juventus?". Gli risposi: "Io mi trovo bene all'Inter, resto qui". E lui mi disse: "Fai bene"".

Si può dire qualcosa riguardo il tuo mancato ingresso in dirigenza?
"Certo. Parlai con Moratti a fine carriera, mi disse che avrei potuto giocare per altri 2-3 anni. E io gli risposi: "Lo so, Presidente, ma io non gioco in nessun'altra squadra che non sia l'Inter". Dopo, le nostre strade si divisero. Andando in televisione, uno si prende dei rischi. Bisogna essere obiettivi e dire le cose che senti. Quando parli in una tv a pagamento, non puoi fare il tifoso. Io non accontento nessuno. A volte il tifoso vuole farsi sentir dire determinate cose, ma certa gente capisce che in televisione si possono dire certe cose".

La biglia che ti colpì contro il Real Madrid ti fece male?
"In quegli anni andare a Madrid non era come lo è adesso. Ti insultavano... Per un paio d'anni ci hanno azzoppato Rummenigge e Altobelli. In campo pioveva di tutto. Zenga mise il piede su una biglia, ma in campo c'erano pezzi di ferro e ghiaccio: tutto. La biglia mi fece venire un bernoccolo così, uscii dal campo per motivi precauzionali. Poi ci fu il ricorso. Andai sul posto con Peppino Prisco, che appena vide davanti a sé il dirigente più anziano del Real Madrid mi disse: "Non abbiamo una chance di portare a casa il ricorso". E così fu".

Su Eriksen:
Se pensiamo che è uno che dribbla e recupera palloni, non è quel tipo di giocatore. Lui è un centrocampista diverso dagli altri. Io ho detto: "Nel 3-5-2 dove lo mettiamo?". Poi la storia parla da sola, non ha trovato spazio. Io lo avvicinerei di più alla porta. Darei tempo a questo ragazzo".

Dopo Handanovic, chi potrebbe essere il capitano dell'Inter?
"Mi piacerebbe un giocatore italiano. Mi piacerebbe vedere Barella, perché è un ragazzo che ha personalità e carisma. Da capitano dovrebbe risparmiarsi certi interventi".

Per diventare da Scudetto,
"Se mantieni il 3-5-2, devi migliorare sulle corsie esterne. Senza nulla togliere a chi sta giocando, che sta facendo il suo, ma in certe circostanze devi saltare l'uomo, dare superiorità numerica. Quest'anno l'Inter ha fatto più punti in trasferta, perché a San Siro le squadre si chiudono. La squadra di Conte deve ritrovare quel furore agonistico che aveva all'inizio: le idee invecchiano presto nel nostro calcio, mi aspetto che Antonio evolva il suo sistema di gioco. Non dico nel finale di stagione, ma per il futuro".

Sezione: Focus / Data: Gio 23 aprile 2020 alle 21:45
Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
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