Goleador nato. Tecnica e tenacia al servizio della squadra. Uomo Derby per eccellenza. Julio Ricardo Cruz sa come far male ai rivali cittadini e alle grandi squadre. Per conferma domandare anche alla Juventus, uno dei bersagli preferiti del puntero argentino, che tra un ricordo e l’altro, in esclusiva per FcInterNews, si racconta a tutto tondo.
Cosa fa oggi?
"Vivo la vita da padre, marito, impresario ed ex giocatore. Un’esistenza normale, come molte altre persone. Mi prendo cura della famiglia e dei figli. Nel tempo libero, quando posso, gioco a calcio. Esco con gli amici e ovviamente vado allo stadio".
Suo figlio Juan Manuel milita nelle giovanili del Banfield e sta facendo molto bene. Dove pensa possa arrivare?
"Sì, è vero. Il più grande gioca lì e tutta la famiglia ne è felice. È un ragazzo che ha amato sempre il calcio, sin da quando io ero un professionista. Fa parte della Primavera, quindi è molto vicino a diventarlo pure lui. Credo che con la sua dedizione e un pizzico di fortuna ce la possa sicuramente fare. È il suo desiderio e quindi quello di tutti noi".
Domenica c’è il derby. Quale è il suo primo ricordo della partita?
"Parliamo di un momento speciale per la città di Milano. Poter vantare un match così importante a livello mondiale, una gara che sarà trasmessa ovunque e che tutto il globo sta aspettando di vedere e che in più porta il significato del calcio italiano nel nostro pianeta, è una cosa molto bella. Prendere parte a questa gara nella mia epoca da atleta mi dava una forza terribile. Volevo sempre scendere in campo. Grazie a Dio molte volte ho potuto sorridere perché avevamo vinto, con la squadra che aveva giocato bene e segnato gol. Adesso e negli ultimi anni forse le due compagini meneghine non si trovano in una situazione di classifica delle migliori, ma possono migliorare. L’Inter è casa mia, speriamo vinca. Me lo auguro davvero. Speriamo sia così per società, tifosi e per tutti quelli che hanno fatto parte del mondo nerazzurro".
Lei era uno specialista di queste partite. Ha segnato 3 reti decisive consecutive contro il Milan e gonfiato la rete dopo 11 secondi dal suo ingresso in campo contro i rossoneri. Alla Juve poi faceva sempre male. Che tipo di felicità ha provato? Meglio punire i cugini o i bianconeri?
"Mi è capitato di segnare, sì. Ma soprattutto ho fatto parte di tante vittorie quando ero all’Inter. Una che ricordo benissimo era propria quella con la rete da subentrante. Ero in panchina, perdevamo 1-0 dopo la segnatura di Ronaldo. La mia testa diceva che sarebbe stata una partita speciale. Entro in campo, corro dalla metà del terreno di gioco. Ibra salta Maldini. Faccio il movimento sul secondo palo. Mi butto dentro. Zlatan me la passa. È 1-1. Che gioia immensa! Avevo insaccato la porta avversario dopo pochissimi secondi dal mio ingresso. Successivamente fornisco allo svedese l’assist per il 2-1 finale. Ricordo l’immensa allegria del post partita, i festeggiamenti nello spogliatoio di tutti noi con il Presidente Massimo Moratti per un’emozione che rimane per la settimana. Quindi è chiaro che mi porto dentro ancora quel Derby. Ma la gioia maggiore l’ho provata segnando alla Juve su punizione quando vincemmo a Torino per 3-1. Per le circostanze e per quello che ci stavamo giocando".
Come finisce domenica?
"Speriamo vinca l’Inter. I giocatori sono preparati per questo tipo di partita. Non le do un risultato esatto ma mi piacerebbe che alla fine uscisse fuori un esito positivo per i nerazzurri. E penso sarà così".
Le piace Lautaro?
"È un grandissimo attaccante. Qui in Argentina ha già dimostrato grandi cose con il Racing. Poi io dico sempre che ci vuole un periodo di adattamento in Europa. E ancor di più nel calcio italiano. Penso che tra non molto vedremo un Martinez ancor più amato dai supporter nerazzurri e ammirato dagli intenditori italiani".
Oggi esiste un nuovo Julio Cruz? Un attaccante con le sue caratteristiche?
"Dico di sì, basta cercarli. Anzi ce ne saranno di migliori. Uno non può essere per sempre unico".
Cosa pensa di Icardi?
"Ho sempre sostenuto che sia un grande giocatore, mi spiace per tutto quello che sta succedendo. Nella vita di ogni calciatore devi prendere certe decisioni, e io credo che lui abbia fatto bene. E penso pure che presto le cose torneranno a posto"
Chi è stato il giocatore più forte con cui ha giocato?
"Ce ne sono tantissimi dal livello più che notevole. Sceglierne uno significherebbe quasi offendere gli altri. Però posso nominare Ibra. Per una questione di semplice statura. Sia io che lui siamo molto alti. È difficile trovare giocatori con tale struttura e farli coesistere. Ma noi eravamo compatibili. Giocavamo bene e i risultati lo dimostravano. Poi che tocco e che padronanza di palla aveva Zlatan… In ogni caso mi preme aggiungere di aver condiviso lo spogliatoio con compagni eccellenti. Nomi prestigiosi. E ottime persone fuori dal calcio".
Lei stava in panchina. Entrava. E segnava. Sempre. Quale era il suo segreto?
"Non esiste. Io ho sempre pensato al calcio come alla mia professione. Per questo ho sempre provato a essere il miglior professionista possibile. E a dare il massimo sia quando ero titolare, sia quando dovevo entrare. La mia testa ha sempre risposto presente e questo mi ha aiutato a capire le decisioni degli allenatori, anche se poi potevo non essere d’accordo. Il meglio che avrei potuto fare era poi la mia risposta effettiva sul campo. Restavo concentrato in panchina. Dopo entravo e mostravo quello di cui ero capace. Oggi parliamo di tutto questo perché credo di aver interpretato bene il ruolo del professionista che rispetta le scelte di società e guida tecnica. Credo che tutti dovrebbero comportarsi in questo modo. E moltissimi anche ora fanno come me. È un requisito fondamentale per essere un calciatore".
Lei è nel cuore degli interisti. Che tipo di tifosi sono? E si sente di inviar loro un messaggio?
"Che vuole che le dica. Io sono nel loro cuore, così come loro lo sono nel mio. Abbiamo vissuto un’epoca fantastica. Con quella squadra, con la difesa di quei colori, con il Presidente di allora. Che aggiungere? Dal primo giorno che ho firmato per l’Inter ho sempre sentito una sorta di abbraccio come giocatore e come persona. Sono interista. Mi sento una persona che vuole ringraziare il club per quello che ha fatto per me. Posso solo ringraziare per le emozioni vissute con i nerazzurri. I tifosi della Beneamata, come tutti, quando non si vince vogliono risultati. Ma credo che forse siano la tifoseria che più di tutte le altre supporti i propri giocatori nei momenti difficili. Quando arrivai a Milano andava tutto male. Ma non mancava l’appoggio verso di noi. Ci è servito ed è stato il preludio alla successiva epoca d’oro dell’Inter. Quindi mi ripeto: un eterno ringraziamento al club, ai tifosi e ai colori nerazzurri".
Quando pensa che l’Inter potrà competere nuovamente per lo Scudetto?
"Credo che per poter ritrovare quella fiducia di poter vincere il campionato serva una base e si debbano fare le cose come serve. Quando da noi arrivò Mancini, insieme ad altre persone, si trovarono i giocatori giusti. E vennero ordinati alla perfezione. Credo che l’Inter dovrebbe essere molto più competitiva e non essere l’ombra delle altre squadre. Deve essere quello che tutti hanno sempre pensato: una grandissima società che continua a dimostrare al mondo di esserlo".
Quale è stata la gioia più grande provata all’Inter?
"La prima Coppa Italia. Il massimo. La società veniva criticata perché erano anni che non vinceva nulla. Vedere la gente esprimere la propria felicità e vivere un’emozione così forte in un San Siro completamente stracolmo è stato un di più. Poi ovviamente non dimentico anche i campionati e le altre coppe. Ma il primo trionfo resta quello che mi ha trasmesso maggiore gioia".
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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