Quattro stagioni all'Inter dal 2010 al 2014 e un album di aneddoti da sfogliare. Luca Castellazzi, ex portiere nerazzurro, si racconta in una chiacchierata sul profilo Instagram di FcInternews.it, partendo dalla sua routine: "Questa situazione è difficilissima, una novità per tutti. Io sono rimasto in casa, ho fatto la cosa più semplice da fare: non sono mai uscito in questi due mesi. Stiamo tutti bene in famiglia. Alla fine di tutto, vedremo le cose con un'altra prospettiva, magari daremo più valore alle cose che diamo per scontate".
Che idea ti sei fatto sulla ripresa della Serie A?
"E' un tema quotidiano, ogni ora c'è una dichiarazione delle varie istituzioni. Gli allenamenti nei centri sportivi sono un primo passo, ma non sono così certo che si potrà ricominciare la stagione. Il calcio giocato, in questo momento, è ancora lontano; ci auspichiamo che riparta per una serie di ragioni, anche quella finanziaria. Il rischio maggiore? La positività di un giocatore che comporterebbe un altro stop".
Sei arrivato all'Inter nel 2010: quale è il il primo ricordo?
"Il primo giorno, ero super-emozionato. Avevo 35 anni, ma era come un primo giorno di scuola per me, anche perché arrivavo in un contesto trionfale dopo il Triplete. Era una consacrazione in sé, quell'anno ancora di più. Al raduno la rosa era limitata, arrivai prestissimo al centro sportivo perché non volevo arrivare in ritardo. Poi è iniziata un'avventura in cui mi sono tolto tante soddisfazioni. Ho giocato tanto per i tanti problemi fisici di Julio Cesar: ho avuto la fortuna di esordire in Champions contro il Werder Brema. Non era facile arrivare e farmi accettare da un gruppo vincente, ma i ragazzi sono stati stupendi".
Quanto è difficile farsi trovare pronto per un secondo portiere? Penso a Padelli quest'anno...
"Il segreto, se così si può chiamare, è allenarsi come se dovessi giocare sempre, con voglia e concentrazione. Anche perché non sai quando vieni chiamato in causa: passi dall'essere seduto in panchina al campo senza nemmeno riscaldarti. Facendo l'esempio di Padelli, che apprezzo perché è un professionista eccezionale, dico che ha giocato partite difficili e l'ho visto crescere. La sbavatura è normale, fa parte del ruolo, però Daniele ha preso consapevolezza dei suoi mezzi".
Il rigore di Denis.
"Era il 2011-12, con Ranieri in panchina. Si fece male Julio, entrai nel secondo tempo sull'1-1. Ci fu questo rigore centrale che parai coi piedi, ebbi pure fortuna nella carambola che fece andare la palla sopra la traversa. E' un episodio che ricordo con piacere, la perfetta sceneggiatura che si immagina un portiere sin da bambino: il rigore parato al 90'".
Che percorso immagini per Radu?
"A me piace, è un portiere che ha doti atletiche importanti. In tutta onestà non mi aspettavo che il Genoa se ne privasse a campionato in corso perché stava facendo la sua parte. E' giovane, non so quanto possa essere utile alla sua crescita il non giocare ma come prospettiva è un profilo che il club valuta per il dopo Handanovic. Ha tutte le caratteristiche per poter dire la sua. Lui o Musso? I nomi che girano sono quelli. Musso mi ha sorpreso molto, ha avuto una crescita costante in questa stagione: è un portiere fatto e finito, può essere il dopo-Handanovic ma non da domani. Anche perché Samir ha la testa e il fisico da roccia per giocare fino a 40 anni".
Parlando di esperienza, tu c'eri quando Zanetti ha dato l'addio al calcio.
"Zanetti è un pezzo di storia dell'Inter, un esempio per ogni calciatore. E' un professionista che ci ha sempre messo la faccia, questo per farti capire lo spessore della persona. Nella settimana d'addio, si percepiva che l'Inter avrebbe fatto una rivoluzione: c'era un velo di tristezza da parte del gruppo. C'era la corsa a fargli firmare le magliette in spogliatoio, ognuno di noi voleva tenersi un ricordo del capitano. La sera della gara con la Lazio è stata molto emozionante, me la ricordo come se fosse ieri. Entrò dalla panchina con lo stadio che invocava il suo nome, la giusta conclusione per una carriera fantastica. E' un simbolo dell'Inter, San Siro gli ha dato il giusto tributo".
L'Inter avrebbe potuto vincere di più nel 2011?
"Non lo sapremo mai. L'anno del Triplete, che non ho vissuto da dietro ma sentito dai racconti, è stato super-stressante. Di conseguenza, i protagonisti sentivano, anche inconsciamente, la fatica fisica e mentale di una stagione così. Nonostante questo, sono arrivati tre titoli; in campionato siamo stati lì fino al derby di ritorno. Gli episodi, a partire dal gol-non gol di Motta, non ci sorrisero. Leonardo? Penso sarebbe rimasto senza l'offerta del Psg, forse lì si poteva creare un ciclo. Da lì in poi, l'Inter ha fatto fatica a trovare continuità in panchina".
L'ultimo trofeo è del 2011, i tempi sono maturi per un nuovo trofeo?
"Si stanno mettendo delle basi importanti per creare un ciclo vincente, quando Conte parla di step intende questo. Speriamo si possano ottenere risultati nel breve; quest'anno, pur in un campionato falsato, l'Inter ha ridotto il gap con la Juve, questo è un segnale anche per il futuro. La Champions è andata male, ma poteva essere interessante il percorso in Europa League. Vediamo cosa succederà".
In caso di ripresa sarebbe uno sprint scudetto.
"L'Inter è in corsa su tutte e tre le competizioni. In campionato basta poco per accorciare; in Coppa Italia c'è un ritorno da giocare, in Europa League c'è il Getafe, un Atletico in piccolo. Questo la dice lunga sul progetto che sta intraprendendo l'Inter".
Segui anche la Primavera, quale è il giovane più interessante?
"Ce ne sono tanti. L'Inter Under 19 scende in campo sempre per vincere il campionato, il Settore giovanile è sempre protagonista in ogni categoria. Tra i giocatori che mi piacciono di più dico Agoume, Colombini e poi menziono anche Filip Stankovic, figlio di Deki che ha avuto la fortuna di essere aggregato la prima squadra. E' una squadra che se la sarebbe giocata fino alla fine con l'Atalanta".
Tu cosa fai adesso?
"Oltre alla seconda voce della Primavera su Sportitalia, sono stato chiamato da Inter tv per fare pre e post in studio dell'Europa League. Poi alleno i portieri in un centro federale territoriale, a Quartoggiaro".
Quanto è cambiato il ruolo del portiere negli anni?
"Ormai, il portiere moderno ha un ruolo di regia. Oltre a sapere gestire l'area di rigore, deve sapere giocare coi piedi: ecco perché si deve lavorare su questo fondamentale, dai Dilettanti alla Serie A. Di Handanovic mi piace la consapevolezza che ha maturato negli ultimi due anni nell'usare i piedi, non sbaglia mai sia col destro che col sinistro: lo dice la percentuale dei passaggi riusciti".
Chi era il tuo idolo?
"Sono cresciuto col dualismo Tacconi-Zenga, erano gli anni '80. Onestamente non tifavo per uno o per l'altro, ma se devo dirne uno dico Zenga: mi piaceva perché era un personaggio e ho avuto anche la fortuna di giocarci insieme al Padova nel '96. Il primo giorno, quando l'ho incontrato, gli ho detto che tifavo lui e me lo sono fatto amico".
Un portiere può vincere il Pallone d'Oro?
"Il ruolo del portiere è sempre stato sottovalutato, tranne nell'anno di Jascin, l'unico a vincere il premio. Negli anni qualcuno avrebbe meritato delle nomination, però è anche vero che viene incensato sempre chi fa gol. Poi negli ultimi anni se lo sono spartiti in due giocatori... (Messi e Ronaldo con l'eccezione di Modric ndr)".
Alla fine, Castellazzi lancia un messaggio agli spettatori: "Stringiamo i denti perché non è finita, impariamo a convivere con questa situazione sperando di ritrovare presto il sorriso".
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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