Ivano Bordon ha l'agilità di sempre: nel presentarsi, nel parlare, nel rispondere alle domande ma anche nel farle, per soddisfare una naturale e sofisticata curiosità nei confronti di chi ha davanti. Il fisico asciutto non ha conosciuto il passare del tempo e gli occhi chiari emanano una fiducia rassicurante. Come quella che ha trasmesso ai compagni di squadra per una vita. Perché il ruolo del portiere è il più delicato, forse affascinante, romantico, ma anche rischioso e crudele. Nella sua solitudine, garantire tranqullità è essenziale quanto una buona parata. Spesso i portieri sono stati descritti come un po' pazzi, estroversi o introversi, ma comunque caratterialmente forti. Bordon non ha nulla di folle, ha molto di razionale. E' ancora oggi talento puro e saggezza accumulata. E' carisma. E' storia. La sua, sia personale sia sportiva, l'ha raccontata in un libro: "In presa alta", edito da Caosfera Edizioni. "Le parate di una vita di un gentiluomo d'altri tempi" è il sottotitolo ed è soprattutto l'efficace ed esatta espressione per definirlo. Un gentiluomo d'altri tempi. L'autobiografia, scritta con il giornalista Jacopo Dalla Palma, è un susseguirsi di aneddoti, curiosità e retroscena di un campione mai fuori posto, che ha sempre tenuto stretti gli insegnamenti dei genitori e che si è imposto nel dorato mondo del calcio con uno spirito e uno stile antico con cui affrontato vittorie e sconfitte.
Mi aveva parlato di questo libro una sera in cui ci siamo conosciuti, a Monza, e tramite una serie di messaggi via Whatsapp la promessa era stata quella di rivedersi a Milano per la presentazione dell'autobiografia. Presentazione poi sfumata, per l'emergenza sanitaria che tutti stiamo vivendo sulla nostra pelle. E così con Ivano finiamo per chiacchierare al telefono. Parliamo ovviamente di questo libro: chissà perché poi, una come lui, ha sentito l'esigenza di scriverne uno. "Per parlare ai giovani", dice. "Per trasmettere loro la mia esperienza calcistica, quello che mi ha dato ma anche quello che mi è costata dal lato umano". E subito la sua mente corre a quando era lui, il ragazzo: "Quando ho iniziato a giocare a calcio erano tempi difficili. Per comprarmi una bicicletta ero andato a lavorare un mese in fabbrica". Parliamo della Venezia di provincia degli anni '60. Di Marghera, per la precisione. Casa sua, lasciata nel 1966 per rispondere alla chiamata dell'Inter. "Il calcio ha sempre avuto un'importanza primaria nella mia vita al punto da farmi abbandonare la mia terra a soli 15 anni. Fino a quel giorno ero arrivato al massimo a Jesolo o al Lido di Venezia quindi trasferirmi a Milano non fu facile. Stare lontano dalla mia famiglia, a quei tempi, è stato anche un sacrificio morale, ma ero giovane e spensierato e dedicavo tutto me stesso al calcio, di cui ero innamorato davvero, tra una lezione di Ragioneria e l'altra". I sacrifici di un ragazzo, e la sua passione, potevano poi portarlo a varcare la soglia del mondo dei sogni: "Serviva passione sì, poi, piano piano, con le qualità capitava di entrare in un ambiente composto da persone che fino a quel momento avevi visto solo sulle figurine".
Benvenuto nel mondo del calcio. Benvenuto nel pianeta Inter, la casa di Bordon dai 15 ai 32 anni. "Ho conosciuto persone che mi hanno dato sicurezza e mi hanno fatto crescere come uomo e come portiere". La maglietta nerazzurra, quella della prima squadra, l'ha indossata dal 1970 al 1983 divenendo l'erede di Lido Vieri. Proprio a lui subentrò in un derby perso col Milan che ha rappresentato anche il suo indimenticabile esordio in Serie A, a 19 anni e mezzo, di cui ancora oggi parla come di uno dei momenti più belli della sua carriera. Nonostante quel 3-0 subito. "Ma poi quell'anno vincemmo lo scudetto. E vincere lo scudetto nell'anno nell'esordio in A...", poi si ferma, come se non esistesse l'aggettivo giusto da dire al telefono.I suoi occhi chiari, dal vivo, lo racconterebbero sicuramente meglio, ne sono sicura.
Nelle memorie di Bordon rientra anche lo scudetto del '79-80: era l'Inter allenata da Eugenio Bersellini, difesa da Baresi e Oriali, trascinata da Beccalossi e Altobelli. Ma se chiedete a Bordon un episodio in particolare, vi parlerà di un rigore parato: ritorno degli ottavi di finale di Coppa dei Campioni, anno 1971-1972, contro il Borussia Mönchengladbach. Uno 0-0 che fu merito suo dopo il 4-2 dell'andata a soprattutto dopo la storica "partita della lattina", vinta 7-1 dai tedeschi ma poi annullata per il lancio di una Coca-Cola che colpì Boninsegna e che scatenò l'avvocato Peppino Prisco contro la Uefa. "Avevo 20 anni e quel rigore parato mi fece conoscere a livello internazionale. Ancora oggi i tifosi quando mi incontrano mi parlano di quel rigore e di quella partita", dice Bordon.
Ivano è un uomo che non ha rimpianti, anzi. "Sono molto felice e grato per la carriera che ho fatto e la vita che ho vissuto". Tra le delusioni, c'è una mancata telefonata, ancor prima che una mancata convocazione in Nazionale. "Non andare al Mondiale in Messico nell'86 è stata una delusione, ancora di più perché lo venni a sapere dalla radio". Erano tempi in cui un "l'ha detto la radio" equivaleva all'attuale "l'ho letto su Internet".
Dalla radio al web, dall'Inter degli anni '70 a quella attuale, Bordon non perde il filo dei ricordi, della riconoscenza e della passione. Della squadra attuale parla con saggezza e razionalità, partendo, ovviamente, dal portiere. Anche se lui dice che non riesce mai a parlare male dei portieri, forse perché continua a immedesimarsi e ad entrare dentro a quel ruolo così romantico e crudele. Handanovic però, l'attuale numero 1 ma anche capitano, lo adora, al punto da augurargli di superare il suo record di imbattibilità. "Due o tre anni ad alto livello li può ancora garantire. Da quando indossa la fascia al braccio poi ha fatto un salto di qualità anche a livello di sicurezza e personalità. Si è responsabilizzato ancora di più", dice.
C'è in giro il possibile erede di Handanovic? "Si può puntare su Radu che ha buonissime qualità, magari facendogli fare per un po' il vice di Samir in modo che possa imparare cose preziose. L'Inter comunque dovrebbe puntare ad avere due portieri forti. A livello internazionale, oltre ad Alisson, credo sia molto forte Oblak. Ecco l'Inter deve puntare ad avere portieri così". Detto da uno che costò centomila lire a metà degli anni '60 e ha finito per diventare parte della storia.
Quella storia che stava provando a fare Antonio Conte, prima che tutto venisse stravolto e interrotto. "Conte fino a che si è giocato ha fatto un buonissimo campionato", osserva Bordon. "L'Inter resta un gradino sotto la Juve ma con due o tre acquisti può diventare ancora più forte. Conte forse voleva uno come Vidal ma comunque ha trasmesso una mentalità e un modo di vivere la partita che sono incredibili. La strada è quella giusta e il lavoro che ha impostato è ottimo, anche per il futuro", assicura. Lui che la sua strada non l'ha mai smarrita e l'ha sempre seguita. In presa alta.
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