Siamo tutti commissari tecnici. E’ un luogo comune che da sempre accompagna gli italiani e il loro modo di essere: 60 milioni di persone, ognuna in grado di fare la propria Nazionale e di farla giocare al meglio, e con questo vogliamo dare fiducia alla buona volontà di ciascuno. Ed è naturale che questa inclinazione quasi genetica del popolo italiano trovi il suo massimo sfogo durante quella grande esplosione di sentimento nazional-popolare, roba da fare impallidire anche Winston Churchill e le sue convinzioni in merito all’attitudine italica per il calcio, che è il Mondiale. E la dimostrazione si è avuta, puntualmente, sin dai primi giorni di questa kermesse brasiliana tanto attesa, specie dopo l’ultimo flop di Marcello Lippi in Sud Africa, per non dire molto prima.

Nemmeno il tempo di partire per il Brasile ed è subito cominciata la mitragliata di consigli al c.t. Cesare Prandelli, prima in merito alle convocazioni, ai 23 da portare in Sud America. Come è partita la spedizione, il focus si è spostato sull’undici titolare da mettere contro l’Inghilterra. Alla fine, comunque, il tecnico di Orzinuovi ha portato avanti un’idea e l’ha difesa fino alla fine, e il risultato gli ha dato pienamente ragione: 2-1 alla perfida Albione, prima gioia e primi, ormai immancabili (e anche un po’ stucchevoli, ma è parte del folklore e non resta che arrendersi) ‘po-po-po-po-pooo’, colonna sonora di ogni successo azzurro, con buona pace degli ormai dissolti White Stripes.

Una pecca tra tante gemme (però, Darmian e Candreva), purtroppo, non è mancata: la prestazione di Gabriel Paletta, unanimemente indicato come l’anello debole della formazione. Troppi pericoli corsi dalle sue parti, bocciatura unanime e un dubbio: sicuri che Andrea Ranocchia non sarebbe servito davvero? D’accordo, siamo ancora alla prima partita, l’italo-argentino ha tutto il tempo per recuperare, lo stesso Massimo Moratti lo ha voluto incoraggiare. Però ricordiamo anche che il ducale veniva da un problema fisico che forse lo sta condizionando e insomma, vista anche la condizione del resto del reparto, forse un elemento fresco e reduce da un finale di campionato in crescendo avrebbe fatto comodo. Ma giunti a questo punto, le parole le porta via il vento e quindi l’incoraggiamento della Nazionale deve andare anche al buon Paletta…

Ma in questi primi giorni di Mondiale, indubbiamente, è balzato all’occhio un evento per certi versi storico, nel mondo del calcio: il grande ‘fracaso’, la disastrosa sconfitta patita dalla Spagna campione del mondo umiliata come nessuno negli ultimi anni era stato capace di fare. Cinque gol subiti, più dell’intero passivo accumulato tra Mondiale 2010 ed Europeo 2012 insieme. Uno tsunami, un terremoto senza precedenti, firmato da un vecchio marpione del football europeo: Louis Van Gaal, prossimo allenatore del Manchester United e attuale ct dell’Olanda. Van Gaal che, in una terra di puristi del bel gioco, ha fatto qualcosa che in quelle zone appariva come un’eresia e in fin dei conti è stata accolta come un’eresia: ha ribaltato il concetto di ‘calcio totale’, ha messo da parte lo spettacolo e badato maggiormente alla sostanza, disegnando un formale 3-5-2 ma che sostanzialmente è un modulo con una difesa a cinque bella e buona.

L’orrore, agli occhi degli olandesi, abituati alle giocate di Cruijff, Rensenbrink, Neeskens, Gullit, Van Basten, Bergkamp, estetica e qualità al tempo stesso. Una roba che per molti compatrioti arancioni ‘Dura minga’, per rievocare un vecchio Carosello, destinata a essere spazzata via dal tiki-taka e dalla potenza della Roja. E invece… Invece accade che l’Olanda torna come d’incanto a essere ‘Arancia meccanica’, anche con una formula chimica completamente diversa: incassato il gol di Xabi Alonso, gli oranje si ricompongono e iniziano ad affondare, pareggiando col tuffo da delfino di Robin Van Persie e poi dilagando in maniera clamorosa nella ripresa. Segna Robben, allunga De Vrij (ok, con carica annessa), affonda Van Persie che castiga il Casillas dormiente, maramaldeggia Robben. Ma alla base di tutto, c’è una tattica accorta, c’è una difesa arcigna, una grande costruzione di gioco, due esterni come Blind e Janmaat che corrono come assatanati, una densità intelligente in fase difensiva. Tutti elementi insiti in un modulo, il 3-5-2, visto a livello internazionale quasi come fumo negli occhi.

Ed eccoci al punto: siamo ancora alle prime partite e una rondine di certo non fa primavera, ma le eco e i riflessi di quanto costruito da Van Gaal, la qualità mostrata dai suoi ragazzi, non possono non essere arrivati a chi del modulo con la difesa a tre ha fatto il suo marchio di fabbrica: troppe critiche ha ricevuto in stagione Walter Mazzarri per l’interpretazione del gioco offerta spesso dalla sua Inter, tacciata di eccessivo difensivismo soprattutto di fronte ad impegni con squadre di alta caratura, un atteggiamento da provinciale che non si addice alle grandi. Ma la prova dell’Olanda, e sotto certi aspetti anche quella del Messico contro il Camerun, hanno dimostrato che vincere e giocare bene anche con questo modulo si può eccome, se viene interpretato alla maniera giusta, applicando la giusta dose di intensità e intelligenza tattica. Questa è una lezione importante, anche considerando che Mazzarri proverà la difesa a 4 la prossima stagione per avere maggiori alternative. Non esistono moduli perfetti o moduli ‘maledetti’, ciò che conta è come si gioca: e se lo si fa bene, si può ben figurare anche in ambito internazionale, checché ne pensi qualcun altro allenatore secondo il quale oltreconfine col 3-5-2 tanta strada non si fa…

Sezione: Editoriale / Data: Lun 16 giugno 2014 alle 00:01
Autore: Christian Liotta
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