Eh sì, che volete farci, effettivamente trentacinque (35) milioni di euro più bonus e quattro milioni e duecentomila euro (4,2) all’anno per cinque anni sono un bell’investimento. Una scommessa. Che faremo noi. Perché c’erano altri che avrebbero voluto scommettere; erano andati a Montecarlo pieni di certezze, col sorriso dei tempi belli. Peccato che alla fine del gioco, alla chiusura dei tavoli, quelli che rientrano a Milano col sorriso a trentadue denti, ottimo perfino per una pubblicità televisiva, siamo noi. Da non credere. O, meglio, datemi un pizzicotto perché non vorrei svegliarmi da un sogno godurioso. Quella goduria, quel godimento sportivo che non provavo da anni; troppo piegato e provato da campagne di compravendita inconcludenti, senza logica, senza progettualità.

Vengono acquistati Kovacic ed Icardi, è la realtà. Ma Mateo e Maurito, senza una squadra vera intorno, arrivano settimi in classifica. Dato di fatto oggettivo, non chiacchiera tra amici al bar. Detto con tutto il rispetto dovuto per gli onesti pedatori calcistici che hanno vestito la maglia coi colori del cielo e della notte nelle ultime sconclusionate annate. Ma qui, era ora, parliamo dell’eccellenza del calcio. Un ventiduenne che ho avuto il piacere di seguire una decina di volte quest’anno, restando sempre colpito dalle capacità del ragazzo, assolutamente fuori dal comune. Un raro, rarissimo esempio di intelligenza abbinata alla forza fisica: che, di questi periodi, è merce preziosa. Ora non vorrei però che la tifoseria intera fosse colpita da una sindrome di onnipotenza collettiva.

Geoffrey Kondogbia non è Diego Armando Maradona, non è Pelé, non è Ronaldo. È un ragazzo del 1993, campione del Mondo con la nazionale Under 20 francese, con palle, grinta, cuore, polmoni e carattere. Uno dei tasselli che sono e saranno necessari per completare lo scacchiere disegnato ed immaginato da Roberto Mancini. La prima scelta che il tecnico jesino aveva chiesto al Presidente Thohir dopo il niet improvviso di Yaya Tourè, il cambio repentino d’idea che aveva messo in subbuglio l’Inter stessa e la maggior parte del popolo nerazzurro. Passato in un amen da frustrazione e depressione sportiva ad emozioni sopite da troppo tempo e gioie, seppur effimere e tutte ancora da dimostrare e conquistare sul campo.

Ecco, Kondogbia semmai incarna perfettamente quel genere di calciatore che la tifoseria della Beneamata tanto adora, il giusto mix tra agonismo e capacità di giocare col pallone nei piedi. Non sui piedi, finalmente. Inutile ripercorrere qui le tappe che hanno portato il giovanottone francese ad Appiano Gentile, tanto le avete lette e rilette in tutte le salse: forse strabuzzando gli occhi, increduli, così come lo ero io. Quindi non vi sto a tediare con corse e rincorse, con cene e merende, con riunioni e chiacchiere nella hall del Monte Carlo Bay. Piuttosto mi piace sottolineare le capacità del duo Fassone-Ausilio, bravissimi nel convincere il ragazzo sulla scelta della Milano nerazzurra; telefonata classica di Mancini a parte, ovvio.

Già, Fassone ed Ausilio; un po’ come il famoso duo Giuliani-Beltrami di fine anni ottanta. Il gatto e la volpe. Che, mentre qualcuno rientrava verso il capoluogo lombardo convinto di sentire lo squillo telefonico che lo avrebbe fatto tornare nel Principato di li a poco, erano rimasti a presidiare la zona di caccia. Come quei soldati giapponesi che, inconsapevoli della fine della seconda guerra mondiale, erano rimasti a guardia della loro isoletta sperduta chissà dove da qualche parte in mezzo al mare. Soltanto che i nostri due erano assolutamente consapevoli di quello che stavano facendo, soprattutto di come lo stavano facendo; perché al netto delle belle chiacchiere di facciata tra le due società meneghine, è evidente che questa operazione è stato un vero e proprio scippo organizzato come meglio non si sarebbe potuto fare. Ausilio, dirigente rampante di belle speranze che sembrava esser stato spedito al fronte con la fionda mentre gli altri, quelli attrezzati, avevano missili terra aria da sparare.

Sì, è vero, la cifra è importante. Parecchio importante. Una operazione di oltre settanta milioni di euro tra cartellino ed ingaggio. Che poi, stringi stringi, era la cifra da stanziare nel caso di un fantasmagorico sbarco del gigante ivoriano ancora di casa al City. Con la differenza che Geoffrey ha dieci anni meno ed il meglio, probabilmente, non lo abbiamo ancora visto. Dell’altro, gran giocatore, sappiamo tutti vita, morte e miracoli. Ora la palla passa direttamente a Roberto Mancini; forse alcuni non lo hanno notato o, meglio, forse le vicissitudini delle ultime 24 ore hanno fatto passare sotto traccia la cosa, ma l’Inter ha chiuso anche per il brasiliano Joao Miranda de Souza Filho, prossimo ai trentuno anni, centrale d’esperienza e titolare nella nazionale verdeoro (anche se, viste le ultime prestazioni, questo non fa curriculum) il quale, nei piani dello staff tecnico, dovrebbe portare quella tranquillità e quel pizzico di serenità che, per una ragione o per l’altra, la scorsa stagione Vidic ha mostrato a sprazzi e troppo poco spesso.

Insomma, prove di Inter da zone alte di classifica sono in essere: la squadra non è completa, ovviamente. Mancano ancora dei pezzi per completare un puzzle che, quantomeno, possa portarci a lottare per le zone nobili, abbandonando così dopo qualche tempo, parecchio buio, una posizione che non era consona al nostro blasone ed alla nostra storia. Ora non vorrei che si cominciasse a fare quelli col palato troppo fino; ho già letto che nessuno dei big va ceduto, che vanno tenuti tutti ed altre cose del genere. Io credo, pur con la morte nel cuore, che qualcuno dovrà partire. Del resto il Presidente è stato chiaro poco tempo fa: uno entra, qualcuno esce.

E, non dimentichiamolo, la prossima stagione sarà esclusivamente dedicata al campionato ed alla Coppa Italia. E, ricordiamolo, i grandi allenatori e le grandi squadre vincono sempre con un massimo di quattordici/quindici giocatori effettivi, ciascuno con un ruolo ben definito. Quindi sono inutili le rose di venticinque o trenta atleti; servono semplicemente ad appesantire il già deficitario bilancio. Benvenuto Geoffrey. Ora cerchiamo, con calma, di andare a giocare su altri tavoli. Rien ne va plus. E buona domenica a Voi. Amatela.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 21 giugno 2015 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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