Non importa come, l'Inter ha vinto e lo ha fatto in quella che è stata la partita più delicata di questa stagione. Perderla non era un pensiero stravagante, figlio di un pessimismo cosmico. Si arrivava da un'incredibile sconfitta con l'Udinese e da un pareggino contro il Qarabag con la Primavera. Pareggiarla sarebbe equivalso a un certificato di mediocrità con il postulato di una squadra a cui, oltre a Mancini e Silvinho sarebbe servita un'unità di crisi formata da uno staff di psicologi.
Ma l'Inter l'ha portata a casa e si è guadagnata dell'ossigeno prezioso prima di Inter-Lazio e la sosta. Ci sono cose di questa partita che però hanno dato l'esatto senso di una squadra tremolante, impaurita, zeppa di incertezze capaci di portare ad una prestazione incredula. L'Inter partiva bene, con qualche buon movimento in fase d'attacco, una discreta gestione del possesso palla e un campanello d'allarme che tradiva le inquietudini nerazzurre con un errore della difesa che culminava in una parata di Handanovic su Paloschi, solo davanti a lui. L'Inter continuava a macinare gioco e alla fine arrivava il gol di Kovacic.
Da quel momento la squadra, invece di godere del bonus, si accartocciava decidendo di passare allo status di spettatrice in campo. All'Inter invece del braccino veniva la gambetta, che implicava clamorosi svarioni, errori tattici, appoggi insensati e improvvisi cali di concentrazione. Vedere Meggiorini che "ubriacava"con una giocata Nagatomo e Handanovic che veniva ammonito per perdita di tempo era mortificante.
Inoltre non si capiva come la squadra fosse tanto sfilacciata, lunga e subisse il Chievo senza riuscire ad aspettarlo compostamente nella propria area per poi partire in contropiede. Ci pensava Kovacic a fare le cose più intelligenti e a condizionare Hetemaj, Cesar e Meggiorini presi da un feroce raptus da pressing alto e colti dal desiderio sfrenato di fare falli brutti e inutili sul talento croato. In particolare quello di Cesar meritava l'espulsione.
Nel secondo tempo tornava agli affanni del primo ma riusciva a rintuzzare con maggiore efficacia. Poi arrivava il gol di Ranocchia e, in seguito, l'espulsione di Botta, che permettevano alla partita di proseguire serenamente verso il 90°. Non sono mai stato un risultatista, perciò non mi esalto necessariamente se si vince e nemmeno sparo a zero per ogni sconfitta. Questa resta una vittoria importante ma lo scrivo fin d'ora: se si gioca così con la Lazio si perde in casa e si ricomincia daccapo.
Se si gioca con Medel e Kuzmanovic insieme non ci potranno mai essere grossi cambiamenti. E se il loro compagno di reparto resterà Guarin, il quale di mestiere fa ormai lo sportellatore, resteremo orfani di qualsivoglia identità. Il centrocampo è infatti il vero problema di un Inter che può comunque battere il Chievo ma che resta lontana da ciò che dovrebbe essere. In effetti non ci si aspettava che Hernanes fosse così deludente e che M'Vila fosse tanto inconsistente. A questo aggiungiamo la crisi di Palacio (ieri più efficace) e la sparizione di Vidic e completiamo il quadro di un'Inter da ridisegnare.
Apprezzabile la maggior predisposizione al movimento di Icardi, la sicurezza tra i pali di Handanovic, la classe e la personalità di Kovacic, il buon impatto di D' Ambrosio e la discreta prova di Ranocchia. Le premesse calcistiche del gioco di Mancini prevedono un centrocampo di qualità, la possibilità grazie a questo di variare il modulo, una difesa attenta capace di impostare senza ricorrere al lancio lungo e un attacco potente. Tuttavia non è possibile fare valutazioni oggettive verso una squadra che da più di un anno ha approcci alla gara inadeguati, gestioni della gara del tutto inappropriate e nessun leader in campo.
Da troppo tempo si fanno valutazioni deprimenti su ogni singolo giocatore. Mancini ha il compito di ridare l'autostima, trovare almeno un leader e dunque una personalità che permetta all'Inter di restare in campo con autorità anche quando si perde. Il tipo di partita che l'Inter giocherà con la Lazio darà le ultime indicazioni.
Amala
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