Quando sono i dettagli a fare la differenza, dettagli che accadono necessariamente e che danno un indirizzo preciso alle cose, anche parzialmente in modo indipendente dalle nostre scelte e dalle nostre mosse. E’ quanto successo, sul finire della scorsa stagione, all’Inter, a metà tra la filosofia dei mondi possibili di Leibniz e un film alla Sliding Doors, un film sulle porti scorrevoli e sul destino, sulle porte della metropolitana che restano aperte un secondo di più o di meno cambiando il corso di una vita. In una serata dello scorso maggio, la vita calcistica dell’Inter ha rischiato di cambiare contro quel Sassuolo contro il quale ripartirà la stagione nuova alla prima di campionato il 19 agosto. Un campionato e una stagione pieni di attese, ritorni, speranze: la Champions, gli abbonamenti quasi sold out, un mercato all’altezza (anche se ancora da ultimare e completare come ha ribadito Spalletti dopo la gara col Chelsea), l’entusiasmo dei bei tempi. Tutto grazie a qualche dettaglio che ha fatto una differenza enorme.
Perché proprio il 2-1 di San Siro contro i neroverdi rischiò di far naufragare la stagione di una squadra che fu poi letteralmente salvata dal destino, da Zenga che fermò la Lazio col Crotone e dalla testa di Vecino che all’Olimpico riscrisse una storia nuova dopo una partita di sofferenza ma anche coraggio. Riscrivendo, appunto, una storia diversa. Ma dopo quel 2-1 firmato Politano-Berardi che ammutolì il Meazza in una notte ancora non troppo calda di maggio, serviva solo l’ottimismo degli illusi, la speranza degli irriducibili per far fronte al disfattismo di chi già vedeva la partenza di Icardi (lui stesso nelle interviste post-gara, quella sera, lasciò aperta ogni possibilità senza dare certezze sulla sua permanenza), una stagione fallimentare (perché senza il quarto posto lo sarebbe stata) ed era certo di aver assistito all’ennesimo suicidio calcistico di una squadra capace, come nessun’altra, di costruire castelli e ridurre tutto in macerie nell’arco di novanta minuti o anche meno. Ora servirà a poco sottolineare qui che chi scrive aveva, in quella notte, la sensazione che non fosse quello il percorso previsto, che i dettagli avrebbero fatto in modo di dare un corso differente agli eventi. In una chat con un collega resta scritta la previsione: Walter non perde, l’Inter a Roma vince.
Qualcosa nell’aria lo suggeriva, nonostante lo sguardo serio di Icardi che diceva sì di voler restare ma che tutto sarebbe dipeso dalla società; nonostante Consigli, che quella sera parò qualunque cosa, che sorridendo rivendicava davanti ai giornalisti la partita onesta del Sassuolo, che aveva dato l’anima, quella sera, alla faccia di chi aveva cercato, in settimana, di far passare quel Sassuolo come arrendevole, come una squadra arrivata a San Siro in gita (quando mai). Quel Sassuolo il cui presidente dichiara di non avere più spazio in ufficio per appendere quadri ogni volta che batte i nerazzurri, quel Sassuolo che in Serie A ha vinto contro l’Inter sei volte perdendo solo quattro partite. Quel Sassuolo, “caricato”, quella notte di maggio, da quello stesso clima capace di farti venire addosso chissà quali motivazioni e voglia di sputare in faccia a qualcuno un “no, non siamo fatti così”. Come accadde a una Lazio di tanti anni fa, in un caldissimo pomeriggio di maggio, che a forza di essere dipinta come colei che avrebbe steso un tappeto rosso sfoderò la prestazione dell’anno. Ma questa è un’altra storia.
La storia più recente dice che l’ultima sfida col Sassuolo rischiò di rovinare tutto, in un misto di sfortuna, scarsa lucidità e frustrazione, e che il nuovo campionato, che dovrà essere diverso, che dovrà dimostrare mentalità e credibilità a certi livelli, ripartirà proprio da lì: dal Sassuolo che venne a San Siro a fare una delle sue migliori gare stagionali, come è giusto e sacrosanto in base ai più elementari principi di sport (meno giusto e meno sacrosanto averlo fato passare, prima, per squadra che si sarebbe scansata). E la nuova Inter di Spalletti dovrà dimostrare quello che vale realmente fin da subito: mai partita poteva essere più indicata. Perché a Reggio Emilia, al Mapei Stadium, in una giornata di metà agosto, davanti ci sarà un club che non solo non ha mai fatto sconti, giusto e sacrosanto in base ai più elementari principi di sport, che nell’ultima stagione ha battuto l’Inter due volte su due e che se potrà fare un regalo al suo presidente che ha una simpatia per il Diavolo, e non è la traduzione di una nota canzone dei Rolling Stones, lo farà. Il primo giorno di scuola nasconde sempre insidie, sorrisi che poi diventano lacrime, atteggiamenti che poi possono costare caro. Spalletti è il primo a saperlo visto che ha già detto di volerne fare uno a modo suo, di regali al patron neroverde. Per fargli spazio in ufficio. E per partire col piede giusto proprio da dove tutto ha rischiato di non iniziare mai.
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