Sprofondati nell’… Abisso, non rimane che risalire. Ormai pienamente sdoganati i giochi di parole legati al cognome dello sciagurato arbitro di Palermo, protagonista in negativo, e nel senso più assoluto del termine, della partita di Firenze, dove le critiche dettate dalla presunta incapacità dell’Inter di riuscire a tenere il vantaggio di due reti appaiono quanto mai forzate, per non dire addirittura cieche e tendenziose, di fronte a quella che è stata l’evoluzione dei fatti, di fronte alla clamorosa punizione di Luis Muriel che ha riportato in tutti i sensi il vento in poppa alla compagine di Stefano Pioli, fino al fattaccio dei fattacci, quel rimpallo sul petto di Danilo D’Ambrosio.
Quel tocco innocente che il caro signor Abisso ha voluto a tutti i costi tramutare in calcio di rigore, incurante dei continui richiami dell’addetto Var Michael Fabbri, in cerca di un maledetto appiglio per legittimare una decisione scellerata in partenza davanti allo schermo a bordocampo, nel tentativo di non vedere feriti ulteriormente la propria autorità già sconfessata in più di una circostanza dal collega ravennate, e forse ancor di più il proprio orgoglio, arrivando addirittura a dare una versione dei fatti, che vedrebbe come discriminante un tocco col braccio dopo il rimbalzo sul petto la sua scelta, contraria prima ancora che alla verità dei fatti ad un piccolo particolare: il regolamento.
La partita di Firenze ha sancito probabilmente il punto di rottura tra il mondo arbitrale e il sistema Var, che i vertici dei fischietti italiani e internazionali continuano a benedire come supporto di fondamentale importanza per la serenità degli arbitri ma che i suddetti continuano invece a vedere come strumento del demonio, un’invasione nemmeno troppo autorizzata nel campo della loro autorità. Var che mai come questa volta esce come la vittima sacrificale, ancor più di quando venne messo all’indice in alcuni casi che, guarda caso, avevano sempre l’Inter protagonista ma dall’altra parte della barricata, mentre invece adesso che i nerazzurri si ritrovano indubbiamente danneggiati si mette quasi alla berlina la loro rabbia e non si incassa alcun attestato di solidarietà prontamente arrivato dagli alti papaveri dell’Aia in casi simili relativi ad altri club. E la chiamano prudenza…
Alza i toni, giustamente, Beppe Marotta, subito dopo la partita con l’assistente Aia Gabriele Gava e il giorno dopo, sottolineando come vedere cose del genere rappresentino la mortificazione prima di tutto di quello che è stato un investimento importante da parte del calcio italiano, e ponendo poi un ulteriore accento sugli effetti collaterali della superbia di Abisso. Perché non possono rappresentare motivo di consolazione il previsto accantonamento fino a metà marzo dell’arbitro e il divieto di avvicinamento all’Inter fino a fine stagione; quei due punti sofferti ma nel complesso meritati sono evaporati per colpa di qualcuno e non torneranno più, e quei due punti potrebbero diventare sanguinolenti in una corsa, quella ai piazzamenti Champions, diventata ora una vera e propria battaglia.
Vuoi per il risorgimento del Milan che ha trovato la pepita d’oro nel cecchino polacco Krzysztof Piatek, vuoi per una Roma che nonostante qualche inghippo riesce a uscire con il bottino pieno in partite dove quanto raccolto è stato inversamente proporzionale a quanto espresso in campo, vuoi anche e soprattutto per le mine scoppiate sotto i piedi di Luciano Spalletti nelle ultime settimane, la strada dove l’Inter sembrava passeggiare tranquilla è diventata clamorosamente scivolosissima. Si rischia di rivivere il refrain della scorsa stagione, quando la Roma riuscì a prendere il largo solo nella parte finale del campionato e Inter e Lazio dovettero giocarsi tutto negli ultimi 90 minuti; a questo giro, la squadra nerazzurra sembra avere ancora qualcosa in più nel proprio motore, ma quello delle due inseguitrici ora pare aver raggiunto il massimo delle prestazioni e la freccia del sorpasso è pronta a essere inserita.
Spalletti, che nel dopopartita si è lanciato in un accorato e pesante ‘j’accuse’ al salotto di chi stava a suo dire lanciano insinuazioni sulla decisione finale di Abisso (anche se, a onor del vero, non è proprio andata come nell’immaginario dipinto dal mister) vuole gettarsi alle spalle la brutta nottata in riva all’Arno nel minor tempo possibile, e al primo allenamento in vista della partita di Cagliari ha voluto richiamare all’ordine il gruppo, invitando a trasformare la rabbia accumulata in energia positiva. Un gruppo che però continua ad essere contraddistinto da alcune vicissitudini interne ormai assimilabili ad una guerra tra tribù.
La storia ormai è nota: tutto è legato alla telenovela, perché ormai a suon di comparsate televisive di parenti di vario ordine tale è diventata, di Mauro Icardi, della fascia di capitano, dell’infiammazione al ginocchio che potrebbe portare all’operazione e dei possibili strascichi legali. Un ambaradan ormai arcinoto, del quale lo stesso Marotta si è detto stufo di parlare, che però sta privando la squadra del suo marcatore principale in una fase calda della stagione. Assenza che, al momento, sul campo non sembra poi lasciare tracce evidenti, visto che comunque la squadra pare aver ritrovato un ritmo ideale e ha fornito ultimamente prove convincenti. Semmai, ci si lascia andare ancora a piccoli segnali che aprono a interpretazioni equivoche, come il buffetto di Ivan Perisic rifilato a Matteo Politano nel momento in cui questi si porta le mani alle orecchie per esultare, un gesto che ricordava molto quello dell’ex capitano e che pare non sia piaciuto al croato, salvo poi chiarimento immediato.
Una vicenda un po’ troppo romanzata, quella dello spogliatoio diviso in fazioni pro o contro Icardi. Nulla di più o nulla di meno di quello che succede in quasi tutti gli ambienti di lavoro, e persino la storia dello sport è piena di episodi simili: storico quello della Lazio del 1973-1974, la squadra di Tommaso Maestrelli dove dal lunedì al sabato vigeva un’autentica faida con da una parte Chinaglia, Wilson, Pulici, Oddi e Facco e Martini, Re Cecconi, Frustalupi, Garlaschelli, Nanni dall’altra. Allenamenti che sembravano battaglie, tra calcioni e tackle da codice rosso; molti di loro erano abili addirittura con le pistole. Ma alla domenica, in campo, quella squadra era capace di convertire rabbia e dissapori e centrifugarli al fine di mettere sotto gli avversari in modo tale da vincere addirittura lo Scudetto, solo due anni dopo avere guadagnato la promozione dalla B e aver sfiorato l’impresa tricolore già un anno prima.
La storia di Mauro Icardi all’Inter sembra ormai prossima al capolinea, al di là della buona volontà mostrata da dirigenti e (alcuni) compagni nel provare a venire incontro all’argentino. Ma prima di vedere se e in che modo giungerà il crepuscolo di questa storia felice e complessa, bisognerà pensare a mandare in porto una stagione troppo lunga per potersi permettere di perdere ulteriore tempo in queste beghe. Bisogna tenere la barra dritta e farlo tutti uniti, come urlato da Milan Skriniar ormai diventato un vero e proprio faro di questa squadra. Lasciando ad altri gli abissi sportivi e comportamentali.
VIDEO - MAROTTA: “INVESTIAMO NEL VAR E POI SUCCEDONO QUESTE COSE”
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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