“Quella magia che c’era per noi e la nostra gente un po’ si è persa, niente sarà come prima" sono le parole pronunciate da Pierluigi Gollini, portiere dell’Atalanta, pubblicate dalla Gazzetta dello Sport, dove ha espresso le sue riflessioni su quello che sarà il calcio dopo il Coronavirus. Anche lui in nerazzurro, anche se quello dell’Atalanta, quest’anno ha provato l’ebbrezza di percepire l’aria di casa a San Siro. L’estremo difensore atalantino è stato uno degli ultimi a calcare il manto del Meazza in quella partita che divenne "il megafono per la diffusione del contagio da coronavirus" nella Bergamasca, quindi in Lombardia. A dirlo è la cronobiologia degli eventi, come scriveva il Fatto Quotidiano. Da quel 19 febbraio sono passati 14 giorni prima che l’intera regione diventasse un campo di battaglia martoriato da morte, disorientamento, sconforto, incertezza e timore, il tutto condito da un bombardamento mediatico che lascia poco spazio a immaginazione e raziocinio. Lockdown in tutta Italia, Europa, Mondo. Ovunque con conseguenze e piani di emergenza diversi e più o meno rigidi rispetto all’Italia. Lo sgomento del periodo 1 della fase 1 ricorda quel passo di Titanic in cui i passeggeri chiedono spiegazioni sull’improvviso spegnimento dei motori. Per l’Italia calcistica lo schianto contro il Covid è stato un po’ come quello del Titanic: dopo l’impatto c’è stato chi ha virato per la filosofia de 'lo spettacolo deve continuare', ma la scena del capitano che muore al timone della nave che non è riuscito a proteggere e salvare resta esclusivamente fantasia di James Cameron. Sulla nave calcio nessuno muore per nessuno e al timone c’è chi, mesi fa, sbandierava un insensato ‘show must go on’ infrantosi sul tragico epilogo dei fatti. Nel tentativo di far ripartire la macchina chiunque argomenta su tesi logisticamente sensate che tengono conto del proprio orticello e tra le argillose impalcature si continua a danzare un tango di esibizionismo egocentrico che confonde e si confonde sempre di più. 

Si gioca/non si gioca è il dilemma-leitmotiv da febbraio a oggi, declinato in periodi e problematiche mutate con i mesi, ma rimasto punto nevralgico. "Si tornerà a giocare?", ci chiedevamo. "Si tornerà a giocare?", ci chiediamo. Ad oggi sembrerebbe di sì. Addirittura nell’assemblea tenutasi ieri tra le 20 squadre di A, La Lega Calcio ha diramato un comunicato in cui di fatto si sancisce la disponibilità di tutti i club a dialogare col Governo in ottica "costruttiva e collaborativa" per portare a termine il campionato e domenica potrebbe esserci un ulteriore passo in avanti, con l’incontro tra Figc e Comitato scientifico del governo. In caso di allineamento e superamento di problematiche e controversie riscontrate precedentemente si potrebbe tornare in campo intorno al 13 giugno. Ma questo è solo il trailer della prossima puntata di una telenovela che nulla ha da togliere ai colossi del mondo delle fiction. 

I tedeschi più volte presi in ballo come modello al quale rifarsi per la ripresa da parte del paese, modello che lascia il tempo che trova visto e considerato che la Germania non è mai stata in vero e proprio lockdown, fanno un passo indietro. In Bundesliga, dove tutto sembrava correre verso la libertà, ci si ferma, visto che una decisione verrà presa il 6 maggio. L'idea è quella di riprendere tra 16 e 23 maggio (sempre che non vengano fuori altri positivi dopo i 3 casi del Colonia) e ovviamente a porte chiuse. Anche in Spagna dovrebbero ripartire gli allenamenti individuali o a piccoli gruppi tra l'8 e l'11 maggio, per poi tornare a giocare la terza settimana di giugno. Chiaramente, anche in questo caso si parla di porte chiuse. In UK gli allenamenti dovrebbero ripartire il 18 maggio e la Premier il 12 giugno, ovviamente a porte chiuse e in campo neutro. A quanto pare, quindi, show must go on and will go on. Ma quale show di preciso? 

"Ad agosto, in uno stadio vuoto, magari in campo neutro: anomalia enorme" diceva Gollini nell’intervista di ieri. Con il Corriere della Sera che ha posto l’accento proprio su come, una volta assodato e rodato il ritorno al calcio giocato, cambierà la concezione di stadio per come l’abbiamo intesa fino a febbraio. Il quotidiano milanese riprende la previsione fatta dall'architetto Mark Fenwick che parla di modifica del modo di tifare. Controlli, distanziamento e automatizzazione sono le parole chiave. Riduzione di capienza, spazi tra gli spettatori disposti a scacchiera e ultras seduti. Mascherine, scanner facciali e tecnologie ad infrarossi. Un disegno degno di Futurama in cui persino Bender faticherebbe ad identificarsi. Che ne sarà degli stadi e delle curve pieni? Che ne sarà delle curve, quelle in cui far foto era quasi delittuoso, e alle quali si chiederà la tecnologia no-touch e l'uso degli smartphone per evitare assembramenti e contatti?

Riecheggia la parola causa e conseguenza, nemico numero uno della salute pubblica: contatto. Che poi di questo gioco ne è l’anima dentro e fuori dal campo. L’eleganza di Eriksen, la grinta di Lautaro, l’imponenza fisica di Lukaku, i tackle di Skriniar, l’altezzosità di De Vrij, niente che non presupponga contatto. Ma anche l’automatismo di aggrapparsi al braccio del vicino di posto per l’adrenalina, la paura, la tensione, fino alla gioia irrefrenabile di abbracciare chi si ha intorno dopo un gol, la mischia, la valanga fisica di entusiasmo, il calore umano. Non è forse questo a renderci così morbosamente dipendenti? Non sarà la condivisione di emozioni? Sarà pericoloso ripartire quanto ripartire privandolo della sua anima. Fare il sacrificio di giocare con gli stadi vuoti e lasciare assistere dietro uno schermo è la prima e ineludibile soluzione, dolorosa ma doverosa e quantomeno sopportabile. Insopportabile però potrebbe essere la previsione secondo la quale alla riapertura vera e propria dei cancelli la tecnologia no-touch sia la nuova frontiera del calcio e del tifo. E allora... The show must go on ma questo è uno show per cui vale il prezzo del biglietto?

Sezione: Editoriale / Data: Sab 02 maggio 2020 alle 00:00
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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