E' così, è arrivata la prima settimana di settembre, momento ormai storicamente consegnato alle Nazionali e ai loro impegni. Già, la Nazionale: da sempre un argomento che rappresenta una sorte di croce e delizia per tutti gli italiani. "Siamo un popolo di ct", diceva qualcuno, per sottolineare come chiunque sia in grado di dire la sua, criticare le scelte del commissario tecnico, salvo poi radunarsi tutti o quasi sotto un'unica bandiera quando cominciano a risuonare le note dell'inno di Mameli. Nazionale che ormai sta diventando una sorta di tabù per i (pochi) giocatori dell'Inter, visto il perdurare dell'esclusione dei vari Andrea Ranocchia e Antonio Cassano da parte di Cesare Prandelli, accompagnate da motivazioni discutibili quali possono essere lo stato di salute o la continuità di rendimento (cento minuti o giù di lì e tre gol, dopo un'intera estate al palo, sono però valsi a Pazzini il ritorno in azzurro, mentre il positivo inizio di stagione di Ranocchia, che combatte da inizio agosto, non gli ha evitato il sorpasso da parte di Acerbi che nelle gambe ha praticamente solo 90 minuti in gare ufficiali).

Ma forse quello dell'assenza dei nostri giocatori nella rosa azzurra rappresenta il male minore, specie considerando che la strada che porta al Mondiale 2014 è appena iniziata e ci sono due anni di tempo per loro per poter recuperare terreno, e anche perché in questo modo il difensore umbro e FantAntonio avranno modo di concentrarsi meglio sulle esigenze di Andrea Stramaccioni e della sua Inter, in una settimana che si è rivelata infuocata come non mai per l'ambiente interista. Forse era la cosa meno augurabile perdere prima della sosta, lo è stato ancor meno perdere in maniera così pesante contro la Roma di Zdenek Zeman specie nella domenica prima della pausa. Perché da questa sconfitta interna si è generato, come in un inesorabile Big Bang, un fuoco di fila che ha letteralmente preso d'assedio l'Inter.

Si è partiti dalle critiche sul campo, alla prestazione della squadra bocciata senza attenuanti sotto ogni aspetto, e si è passati prontamente alle critiche alla qualità della rosa, al mercato insufficiente, alle carenze dimostrate da Stramaccioni al cospetto del grande maestro boemo, all'inadeguatezza della squadra per il raggiungimento di determinati obiettivi. Dissolte come una bolla di sapone le belle parole sui colpi di mercato che han permesso all'Inter di riguadagnare terreno nelle graduatorie scudetto dei vari addetti ai lavori; dimenticate in un colpo solo tutte le lodi di cui è stato fatto omaggio l'allenatore. Accantonato il fatto che questo è un gruppo ancora in cantiere e che specie all'inizio le crisi di rigetto sono da mettere in preventivo. No, niente, tutti hanno il grilletto facile quando si deve mettere all'indice l'Inter.

Ma l'escalation di amenità è proseguita inesorabilmente negli ultimi giorni, dove se ne sono sentite veramente di ogni: senza trascendere in episodi giuridici che col calcio giocato, checché se ne dica, hanno davvero poco a che fare, nello spazio di poche ore si è formato un ciclone di voci incredibili, che ha avuto la rete come formidabile volano: dalle presunte imprese da bar di Maicon, passando all'eventualità di vedere un Coutinho nuovamente a rischio del posto, fino alla presunta rottura dopo nemmeno 20 giorni del suo arrivo all'Inter di Antonio Cassano con lo spogliatoio nerazzurro, fino al presunto ultimatum di Moratti a Stramaccioni. Un vero e proprio festival del quale abbiamo già abbondantemente parlato.

Quello che voglio aggiungere in merito è questo: condivido le sensazioni dell'amico e collega Alessandro espresse ieri, quelle legate al rumore dei nemici che sta tornando. E come disse José Mourinho, è una cosa che 'mi piace': perché forse non si aspettava altro per rispolverare il vecchio sport di dare addosso ai nerazzurri, soprattutto quando si vuole esorcizzare il pericolo Inter. C'è chi si chiede perché la società non intervenga; magari non lo fa proprio perché si dice che "la migliore risposta è quella non data" e allora decide di lasciare che queste dicerie lascino il tempo che trovano. Ma una risposta la può dare, eccome, la squadra, in un modo molto semplice: serrando le fila e lavorando, lavorando e ancora lavorando. Cercando di colmare tutte le lacune, evitando di scoprire il fianco agli avversari in campo e fuori, trovando la formula vincente. Insomma, far parlare il campo: il resto è fumo...

Sezione: Editoriale / Data: Ven 07 settembre 2012 alle 00:01
Autore: Christian Liotta
vedi letture
Print