Quanti di voi hanno a che fare con il più celebre videogioco manageriale legato al calcio, vale a dire Football Manager? In tanti, immagino. Bene, penso che sappiate tutti quanti che quando le vostre squadre vincono anche in bella maniera, nei discorsi che è possibile fare al gruppo nel dopo-partita è presente anche una frase che suona all’incirca così: “Grande prestazione, che mi spinge a chiedervi perché non giocate sempre così”. Ecco, traslate questa situazione alla realtà vissuta ieri e avrete, probabilmente, il pensiero comune del popolo interista, compresi i (troppi) assenti allo stadio e coloro che erano davanti alla tv dopo aver visto quanto accaduto a San Siro nel corso del match tra Inter e Juventus.

Sembrava una partita della stessa valenza di un allenamento: troppo avanti la Juventus in virtù del punteggio accumulato nella gara d’andata; soprattutto troppo più forte la compagine bianconera anche nelle sue vesti meno scintillanti e col vantaggio del clima maggiormente più sereno, mentre l’Inter arrivava a questa sfida nel pieno della tempesta, presa a pallate dai campioni d’Italia solo 72 ore prima, finita nel mirino delle critiche anche da fuoco interno, come testimoniano le parole dure di Piero Ausilio e di Massimo Moratti, e pronta a subire anche la contestazione dei tifosi in caso di nuovo, presumibile, flop. E invece, accade che quando tutto il mondo ti gira contro, arriva il momento in cui la misura è colma e decidi di spezzare le catene e di devastare tutto quello che ti circonda.

Certo, rimane la delusione di un’impresa che alla fine è stata tale solo per tre quarti, visto che ad andare a Roma a sfidare il Milan di Sinisa Mihajlovic ci andrà la Juventus. Ma è il lieve retrogusto amaro in una serata dove, se un marziano si fosse accomodato per caso sulle tribune di San Siro, avrebbe pensato che i quattro volte campioni d’Italia, la formazione che domina in lungo e in largo dall’inizio del decennio, fosse quella con la maglia nerazzurra, e gli avversari intimiditi in partenza e destinati a soccombere fossero invece quelli con la maglia bianconera. Incredibile come per novanta minuti le due squadre si siano scambiate i costumi di scena: aggressiva, grintosa, determinata come mai si era vista sin qui la formazione di Roberto Mancini, capace di imbrigliare e costringere ad errori inusitati la squadra di Massimiliano Allegri, che non schierava la sua formazione top ma allo stesso tempo è scesa in campo forse troppo convinta di poter giocare al gatto col topo e finita con l’attorcigliarsi su se stessa. Juan Pablo Carrizo inoperoso per settanta minuti, prima di tremare alla prima incursione di Simone Zaza fermato dal palo, è un dato sintomatico di questa situazione dolcemente paradossale. Solo quando l’Inter ha iniziato ad andare in riserva la Juve è uscita allo scoperto, con Carrizo che compie un doppio miracolo incredibile prima del triplice fischio.

Tutti gli ingranaggi, ieri, hanno girato pressoché alla perfezione. Anche quelli che sembravano compromessi: vedasi Danilo D’Ambrosio, lapidato verbalmente dopo l’assist da harakiri che ha agevolato il gol di Leonardo Bonucci nella sfida di campionato e che schierato in emergenza da difensore centrale ha compiuto l’opera in maniera sublime. Perfetti Marcelo Brozovic e Ivan Perisic, troppo spesso criticati uno per l’eccessiva discontinuità l’altro per la presunta, molto presunta, poca sostanza offerta sin qui, e che sulla sua corsia ha fatto il diavolo a quattro. Un plauso anche ad Eder, che non ha segnato ma ha fatto letteralmente ammattire la difesa bianconera con la sua grandissima mobilità, e a Geoffrey Kondogbia che prima di finire ko per un colpo al volto ha offerto sostanza a mazzi confermando la sua crescita esponenziale. Tutto molto bello, quasi troppo, se non fosse stato per quella traversa maledetta di Palacio forse parleremmo anche di derby in finale ma tant’è, visti i prodromi non si può che essere soddisfatti.

Adesso, però, viene il punto focale del discorso: è mai possibile che l’Inter debba sciorinare la sua migliore prestazione stagionale solo quando le circostanze la vedono con l’acqua alla gola se non di più? E’ mai possibile che per vedere un’Inter così clamorosamente bella e concreta devono arrivare le bastonate pubbliche? Ma soprattutto, chi ci assicura che questa serata incredibile, da pazza Inter in tutto e per tutto, non sia una semplice supernova  destinata ad evaporare dopo aver brillato per poco tempo ma l’inizio di un capitolo nuovo, quello del risorgimento dopo mesi di inferno? Questa serata ha offerto solo segnali positivi, al di là di quello che è stato l’esito. Dall’Indonesia, sono arrivate a tempo di record le parole del nottambulo Erick Thohir che ha detto una frase dal significato intensissimo: “Questa è la mia Inter”. Ovvero, quell’Inter che tutti avremmo voluto dire non dico da inizio stagione, ma quella che aveva il diritto-dovere di proseguire nel bel momento anche sul piano delle performance intravisto in serate come quella di Udine e che invece si è clamorosamente sfaldato prima della sosta natalizia. Questa è l’Inter di Thohir, questa è quella che ora più che mai deve essere l’Inter di tutti, perché siamo nel momento topico della stagione e questa Inter ha il dovere di raccogliere quanto di buono seminato ieri nelle gare interne contro Palermo e Bologna, prima del match ‘do-or-die’ con la rigenerata Roma di  Luciano Spalletti, presumibilmente l’ultimo match utile se si vuole ancora sognare il terzo posto.

Questa è l’Inter che d’ora in poi deve essere, che non deve perdersi più nei meandri delle proprie insicurezze e vivere certe serate come eventi rari. Perché in questo gioco, non si può spegnere il pc o andare in vacanza se le cose non vanno nel verso giusto…

Sezione: Editoriale / Data: Gio 03 marzo 2016 alle 00:25
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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