E ora? Cosa resta da qui a maggio a parte una lenta agonia che invita necessariamente a pensare già alla prossima stagione? Siamo al 19 marzo ed è già tutto finito. Ritardo impietoso in campionato e fuori da Tim Cup ed Europa League, la scialuppa di salvataggio di una stagione più nera che azzurra, ricca di contraddizioni che solo l'Inter, storicamente, può concedersi. Ma oltre a queste la squadra ha abituato i tifosi anche voli pindarici emotivi straordinari.
Contro il Wolfsburg sarebbe servito uno di questi slanci. È stato invocato da tutti, a partire a Thohir e Mancini, dagli stessi giocatori. Qualche tifoso si è persino convinto che l'improbabile (non impossibile, due o tre gol ai tedeschi sarebbero stati tutto fuorché impossibile) potesse davvero concretizzarsi un una serata perfetta. Ma la realtà, questa realtà è troppo acida per concedere soddisfazioni. Personalmente non ho mai fatto troppo affidamento a un sano ottimismo. In altri tempi forse mi sarei lasciato trascinare, ma le premesse di questa partita non me l'hanno permesso. Per questo non sono particolarmente scosso da un'uscita così netta e, giusto sottolinearlo, meritata.
Questa Inter non è una squadra, è ancora un progetto in evoluzione ma manca il materiale ideale per portarlo avanti con continuità. È un discorso chiaro da tempo, anche prima dell'arrivo di Mancini. A gennaio si è mosso qualcosa di significativo, sono arrivati giocatori interessanti, quasi tutti futuribili. Ma nessuno ancora in grado di fare la differenza in una rosa a cui manca l'ingrediente principale per scendere in campo a certi livelli: la personalità. Uscire dal guscio di tanto in tanto non è sufficiente a trasmettere l'idea di compattezza all'esterno, se poi l'assetto arretrato (ma non solo) vive di insicurezze e improvvisazione c'è poco da essere ottimisti.
Anche ieri sera è andato in scena il remake di 'Balla coi lupi', riferimento che calza a pennello, con Ranocchia e (soprattutto) Juan avvolti dal branco e incapaci di opporre rimedio, senza neanche il supporto dei centrocampisti. Non è solo un problema di uomini, ma soprattutto di fase difensiva: non esiste. Se poi il brasiliano continua a commettere errori in serie, con tutta la buona volontà del mondo non riesco a sollevarlo dalle sue responsabilità. Essere giovani e professionali non significa godere di fiducia illimitata. Sia chiaro, Juan è solo la punta di un iceberg che andrebbe seriamente rivalutato, anche con decisioni nette e dolorose.
Perché, visto che Mancini (non esente da colpe anche lui, ma è l'ultimo arrivato e gode giustamente di un credito ancora illimitato) ha detto che rimarrà per costruire una grande squadra, che punti subito allo scudetto, è ovvio che alcuni dei giocatori oggi a sua disposizione non potranno farne parte. Non c'è alcun preconcetto, se c'è da scommettere sull'impegno di questi ragazzi io mi schiero in prima fila. Ma l'impegno non basta, serve altro per non rimanere impantanati nella mediocrità. E soprattutto, serve tempo all'allenatore, che ha il diritto di vedersi consegnata una squadra adeguata alle proprie esigenze, nel rispetto dei soliti, fastidiosi, limiti finanziari, e di lavorarci dal primo giorno del ritiro. Circondato da fiducia, possibilmente.
Ecco, se proprio volessimo trovare del buono in questa serata storta, l'ennesima, adesso può iniziare quello che fino alla scorsa stagione era il jolly nella tasca di Walter Mazzarri: la raccolta dati. Un concetto che veniva accolto con ironia e malcontento con il precedente tecnico, ma che con il Mancio deve diventare la chiave per costruire quella squadra che, nella testa del tecnico jesino, possa essere competitiva almeno in Italia. Perché da sconfitte come qulla di ieri, d'ora in avanti preferisco rimanere sorpreso e scosso, non indifferente.
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