Proviamo, almeno per qualche ora e nei limiti del possibile, a dimenticare il ciclone Radja Nainggolan, abbattutosi all'improvviso in una giornata che sembrava di relativa calma, per non dire di monotonia, e a concentrarci sulle questioni di campo pensando a quello che è stato sabato e a quello che potrebbe essere questa sera. C'è poco da girarci intorno: presa così a caldo, è stata indubbiamente una botta di quelle che fanno male. Fa male pensare di dover digerire un pareggio che assume i toni di una sconfitta, contro il fanalino di coda del campionato, arrivato dopo aver avuto complessivamente la gara in pugno e nel momento in cui, probabilmente, nemmeno il Chievo che tanto generosamente si era speso in avanti senza esiti apprezzabili riusciva a immaginare che all’improvviso sarebbe arrivata tanta grazia, tra il corner gettato alle ortiche da Marcelo Brozovic, la disattenzione della difesa sul cross di Mariusz Stepinski e il pallonetto delizioso di Sergio Pellissier a punire Samir Handanovic al 91esimo minuto.

Doccia gelata di quelle atroci, indubbiamente: ma se siamo qui a parlarne anche dopo aver digerito cenoni e pranzi di Natale, e in attesa della partitissima di questa sera contro il Napoli, atto finale del ‘Boxing day’ all’italiana, e perché è giusto tornare a parlare a freddo di quanto avvenuto al Bentegodi lo scorso sabato. Anche perché i ragionamenti volendo più efficaci e più consoni si fanno una volta sbollita la rabbia dell’immediato che porta magari a straparlare, e questo fa sì che faccia ancora più specie che ci siano un po’ ovunque addetti predisposti a raccogliere e sbattere in prima pagina quelli che sono gli sfoghi avventati che appaiono sui social, dando una visione senza filtro e immediata di una realtà che magari realtà reale non è, senza nemmeno pensare che le persone dotate di un po’ di buonsenso e logica hanno sempre la possibilità di rivedere e correggere il proprio tiro.

Ok, la rabbia per una vittoria che sembrava scritta c’è, inutile negarlo. Ma poi, riflettendo bene sugli effetti negativi reali di questo inusitato pareggio sono stati relativamente pochi, per non dire nessuno. D’accordo, il Napoli secondo in classifica è ora lontano una barca di punti, per tacere della Juventus, ma al tempo stesso il terzo posto è ancora bello solido anche se una vittoria avrebbe consentito di segnare un solco importante tra sé e le inseguitrici, la distanza dalla Lazio è ancora di sicurezza e vedere che la lotta per il quarto posto anche in questa stagione si sta risolvendo in un più o meno entusiasmante ‘ciapanò’, tra tonfi improvvisi e nuove squadre che fanno capolino (Atalanta, Sampdoria), può in questo senso rappresentare per la squadra di Luciano Spalletti un jolly di tranquillità da non buttare al vento.

Inutile pensare a quelle che erano le aspettative forzate della vigilia, a quell’Inter che si voleva a tutti i costi come l’anti-Juve di una campagna promozionale mal riuscita per un campionato di Serie A presumibilmente nato morto visti i risultati: non è mai stato quello il vero ruolo dell’Inter, che vi piaccia o no. Anzi, si valuti il fatto che anche Napoli e Lazio, ovvero chi precede e chi segue i nerazzurri in classifica, sono cadute allo stesso modo nella trappola di Domenico Di Carlo, il che neutralizza ulteriormente gli effetti negativi del pareggio di sabato, e che la formazione di Carlo Ancelotti ha subito come l’Inter lo shock della precoce eliminazione dalla Champions League che però, rispetto ai nerazzurri, i partenopei approcciavano con ben altre prospettive. Perché purtroppo è troppo facile parlare a sproposito di disastri solo da un lato, non per dare il senso reale delle cose ma solo per dare spunti distorti per far parlare la gente al bar o sulla rete...

L’aspetto negativo della prova del Bentegodi è semmai un altro, e si può riassumere con una metafora psicologica applicata… ai cartoni animati. Perché forse nessuno si è mai posto questo quesito, almeno fino a quando una soluzione ha provato a proporla Seth Macfarlane, ideatore e produttore della nota serie tv animata ‘Family Guy’, meglio nota in Italia come ‘I Griffin’ in un episodio (niente spoiler per chi non sa): cosa farà Wile E. Coyote una volta vinta la sempiterna battaglia con il ‘road runner’, o struzzo che dirsi voglia? Allo stesso modo, l’Inter di queste ultime partite pare essere preda di un dubbio amletico: siamo arrivati al gol, anzi siamo arrivati negli ultimi sedici metri. Ora che si fa?

Perché l’Inter di questi tempi insegue il gol quasi come una chimera, ma una volta raggiunto l’obiettivo sembra perdersi in una nebulosa di indeterminatezza e di dubbi esistenziali. Non si può nemmeno celebrare a dovere il ritorno al gol di Ivan Perisic, che in quell’occasione servitagli da Danilo D’Ambrosio e nel successivo palo scalciato ha scaricato oltre alla potenza anche la rabbia di tante settimane vissute tra prove opache e critiche anche feroci (e attenzione, il croato ha anche rischiato con questa miscela di emozioni di rendere il gol più complicato di quanto fosse), che si deve tornare a fare i conti con una palese difficoltà a concretizzare le occasioni anche importanti che si riescono a creare. Il tutto senza contare la fase finale critica, dove diventavano evidenti le mancanze della squadra anche nella gestione del pallone specie dopo i cambi, tra la troppa sufficienza di Matias Vecino e il furore agonistico fine a se stesso di Lautaro Martinez. Quali le cause? Perché questo smarrimento di una squadra che solo qualche settimana prima era capace di giostrare a proprio piacimento la Lazio all’Olimpico o metteva all’angolo per novanta minuti il Genoa capace poco tempo addietro di appuntarsi sulla maglia il gallone di unica squadra capace di strappare punti alla Juventus?

Forse si stanno pagando più del dovuto le energie mentali spese per affrontare il girone di Champions League, il che forse era ampiamente da mettere in preventivo visto che più volte si è sottolineato il livello di noviziato di gran parte della rosa nerazzurra relativamente al massimo torneo continentale. Che non si valuta solo per numero di partite giocate o di titoli vinti, ma anche e soprattutto per tenuta mentale e di atteggiamento da tenere in partite di un determinato livello. La squadra ha dato tutto quello che ha potuto, purtroppo sbagliando nettamente quando si è arrivati al momento di passare al dunque, sintomo evidente di una maturità per stare a determinati livelli ancora tutta da plasmare; resta ora da capire come questo aspetto si rifletterà nell’approccio all’Europa League.

Stiamo poi assistendo, finalmente, all'ottima evoluzione tecnica delle ultime partite da parte di Mauro Icardi. Che negli ultimi tempi ha mostrato, anche forse per mettere a tacere definitivamente le continue obiezioni sul suo stile di gioco, un’evoluzione costante che lo sta portando ad ampliare il suo raggio d’azione, non solo finalizzando ma offrendo anche sponde e aprendo il gioco, come ha fatto nell’azione del gol del vantaggio. Ma il raggiungimento di questo gradino che lo porterà, a detta di tutti, a livello degli attaccanti mondiali di prima classe, va forse ancora metabolizzato del tutto da un gruppo abituato a vedere Maurito come finalizzatore impeccabile e che per il momento fatica ad assecondarlo al meglio.

Per il momento, i risultati ottenuti dall’Inter rispondono a quello che è il piano di inizio stagione: il consolidamento della posizione Champions League c’è, a breve inizierà anche l’avventura in Europa League che al di là delle dichiarazioni di circostanza resta impegno da onorare nel miglior modo possibile. E fra poco ci sarà anche la Coppa Italia che può essere sì un obiettivo concreto, anche perché da una Coppa Italia partì il ciclo della seconda metà degli anni Duemila dopo sette anni dall’ultimo trionfo, la Coppa Uefa del 1998. Ma resta anche la sensazione di una squadra mai in grado di liberarsi dalla tensione evolutiva, incapace di compiere il salto di qualità quando serve e che deve passare sempre attraverso brividi forti per darsi una scossa.

“Storie di tutti i giorni, un orologio fermo da un’eternità”, tanto per citare un vecchio successo di Riccardo Fogli. Una situazione dalla quale, prima ancora che con il calciomercato, si esce lavorando sul carattere, sul lavoro soprattutto mentale. Steven Zhang alla festa di Natale ha parlato di una squadra che a breve sarà in grado di schiacciare tutti, in campo e fuori. Ma prima di ogni altra cosa, bisogna schiacciare definitivamente questa tendenza al vivere sul filo del rasoio, in barba anche al tanto amato inno. Una lezione che chissà perché, all’Inter non si riesce mai a imparare fino al fondo.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 26 dicembre 2018 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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