Mentre a Parigi mettono sotto contratto due parametri zero come Gini Wijnaldum e Gigio Donnarumma per un totale di 22 milioni netti più premi, in casa Inter si lavora per rinnovare a cifre più basse i calciatori in scadenza, con l'intento di dare continuità alla rosa e soprattutto di tagliare i costi. Sembra di essere in Brasile, dove al pochi passi da grattacieli sfarzosi che trasudano opulenza si trovano le cosiddette favelas, baracche mal ridotte simbolo di povertà, violenza e deriva sociale dilaganti nel Paese. Parigi spende e spande, Milano e tante altre città intorno tagliano e cercano di vendere. Lo specchio di una situazione a cui andrebbe messo un freno, perché francamente dopo le tante belle parole sul calcio del popolo e contro la Super League, ci si trova di fronte a un club finanziato da uno stato che naviga nel petrolio e può (ancora) fregarsene delle regole e della crisi economica. Altro che riduzione degli stipendi, Al Khelaifi si prende il lusso di ricoprire d'oro i giocatori, scippandoli letteralmente ad altre società con meno forza finanziaria (vedi Wijnaldum con il Barcellona). E il lato più ironico della questione è che il patron del Paris non solo è presidente dell'Eca, ma è anche uno dei maggiori oppositori del colpo di stato recentemente sventato dalla Uefa. Fin troppo semplice così, il caro Ceferin dovrebbe fare un discorsetto al suo nuovo miglior amico almeno per salvare le apparenze. Perché questo è tutto fuorché il calcio del popolo. E stavolta non basterebbe andare a prendersi un caffé per bypassare la questione.
Chi pensava che la crisi finanziaria portasse a un ridimensionamento generale e democratico, in cui tutte le parti in casa avrebbero lavorato per rendere il sistema più sostenibile, si trova di fronte a un altro colpo di stato, quello parigino, che altro non fa che aumentare il gap tra chi non ha problemi di soldi e chi invece non sa dove sbattere la testa. Il tutto in attesa che entrino in scena anche Manchester City e Chelsea, reduci da una finale di Champions e pronti a rispondere euro su euro ai blitz dello sceicco del Paris. Curiosamente, due club che si erano inizialmente uniti alla ESL salvo poi uscire di scena alla prima minaccia popolare e della Federcalcio britannica. Ma il calcio è questo, tutti in prima linea a parole e intenzioni, poi via alle contraddizioni che rendono questo sport sempre meno democratico.
Certo, c'è poi il lato meno morale della medaglia: qualsiasi tifoso sarebbe entusiasta se il proprio club potesse spendere liberamente e avesse i fondi necessari per togliersi sfizi. Soprattutto pensando al contesto del calcio italiano, in cui non solo l'Inter sta facendo fatica con il proprio bilancio. In giro, entro i nostri confini, non è che ci siano società che stanno rinforzando la rosa o aumentano gli investimenti, anzi. C'è chi perde il proprio portiere titolare a zero e finge di aver vinto la battaglia etica. Oppure chi questo portiere era convinto di averlo in pugno salvo poi vederlo espatriare per molti più soldi. Gli unici movimenti significativi finora sono stati per gli allenatori, anche perché giustamente è con costoro che vanno prese le decisioni in una fase in cui devi risparmiare e non puoi commettere errori né toglierti soddisfazioni. La dirigenza nerazzurra si sta già muovendo per equilibrare i conti senza impoverire tecnicamente troppo la rosa, tenendo Simone Inzaghi informato su ogni possibile movimento. Modus operandi inevitabile in cui i desiderata dell'allenatore vengono scavalcati dalle necessità di bilancio e in un modo o nell'altro bisogna andarsi incontro.
Proprio ciò che Antonio Conte non se l'è sentita di fare. Ecco, per quanto l'intervista a Dazn non l'abbia reso di certo più popolare, il tecnico salentino merita solo ringraziamenti per ciò che ha fatto nei due anni alla guida dell'Inter. Conflitti a parte, quasi scontati conoscendo il personaggio, ha tirato fuori il massimo da sé stesso e dai giocatori, portando allo Scudetto una squadra che non partiva certo con i favori del pronostico. Dispiace che la storia sia finita così, ma se davvero non c'è modo di condividere la visione è giusto separarsi. E non va dato troppo credito alla trattativa (fallita) con il Tottenham: Conte è un uomo che vuole vincere sempre e avanza pretese, però è sempre meglio diffidare di ciò che viene fatto filtrare ad hoc. Al di là di tutto, la stima per il Comandante resta intatta.
Tema mercato: l'addio di Achraf Hakimi, ormai dato quasi per scontato, oggi lo è decisamente di meno. Perché il Paris pur facendo la voce grossa sulla questione ingaggi ad oggi non pare intenzionato a superare i 60 milioni di offerta. Strategia? Ci sta. Però ci sta anche che Beppe Marotta e Piero Ausilio si rifiutino di rivedere al ribasso le proprie richieste per un giocatore che a soli 22 anni può essere considerato il migliore al mondo nel suo ruolo. E per questo ha una valutazione da migliore al mondo del suo ruolo in tempi di crisi economica. Mai come oggi bisogna tenere il punto, perché ogni euro che non entra nelle tasche della società bisognerà recuperarlo in altro modo. E se un grosso sacrificio deve essere fatto, che faccia tana per tutti. Hakimi è lì, in vetrina. Chi lo vuole deve solo pagare la cifra scritta sul cartellino, tutto molto semplice. In alternativa, si facciano avanti per altri calciatori (Lautaro, l'altro candidato) ma il discorso non cambia: oggi l'Inter ha in rosa diversi top e vanno valutati secondo il loro status. Perché se proprio dobbiamo piangere, almeno facciamolo con un occhio.
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Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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