"L'ho detto fin dal principio: quest'anno si riparte da zero e devo valutare i giocatori in rosa. Oltretutto, il mercato non è ancora arrivato: da quando sono arrivato io, non c'è stato mercato. E' normale che, se le cose si fanno con oculatezza, si sta attenti a tutto, si fa la valutazione anche quando purtroppo le cose non vanno al meglio, da gennaio in poi cominceremo a fare gli interventi che la società riterrà opportuno fare su indicazione, spero, di quello che gli dirà l'allenatore". Con queste parole, piuttosto nette, Walter Mazzarri ha chiarito in conferenza stampa dopo il 3-3 col Parma un concetto basilare che potremmo tradurre così: "Finora ho lavorato con quello che ho trovato e, adesso che conosco la rosa, posso indicare alla società dove intervenire". Cristallino.

La domanda è: dov'è finita l'Inter di inizio stagione? Come mai adesso stenta e non vince più? Tante le ipotesi avanzate in queste ore successive al 3-3 interno col Parma. Si è parlato di condizione fisica non più così brillante, di mancanza di concentrazione in più d'un giocatore, lo stesso tecnico ha messo sul tavolo immaturità di alcuni elementi nonché l'eccessivo peso di responsabilità. Una sorta di "paura di vincere". Tutte ipotesi più o meno fondate. Eppure, quello che si potrebbe evidenziare con forza è la palese differenza di ordine e disciplina tattica tra la prima Inter stagionale e questa. Il nodo potrebbe stare proprio qui, al di là di ogni discorso di carattere psicologico o fisico.

Storicizziamo. Mazzarri prende una squadra allo sbando e la recupera in quasi tutti i suoi elementi. All'inizio manca Milito e manca Kovacic, stoppato da un problema muscolare durante il ritiro. Eppure, la squadra comincia ad assimilare i concetti base del nuovo allenatore. Banalizzando: si fanno poche cose, ma buone. Difesa aggressiva, gioco sugli esterni e grande compattezza. Per questo motivo si dice subito che è un'Inter che ha ritrovato un'anima, un'identità. In tanti sono sorpresi nel vedere il cambiamento così repentino, visto che dei nuovi gioca il solo Campagnaro (talvolta Taider). Arrivano vittorie su vittorie, il pari imposto alla Juve e lo scivolone con la Roma non senza attenuanti. Tant'è che i nerazzurri non smarriscono la strada. Anche i pareggi esterni con Cagliari e Torino (in 10 per tutta la partita) sanno più di beffa che di prestazione bucata. L'Inter più bella si vede a Udine, dove comanda dal 1' al 90' come solo le grandi squadre sanno fare. E' il picco stagionale, una maturità raggiunta con ampio anticipo.

Il terzo posto è a un passo, ma proprio qui cominciano i problemi seri. L'Inter si smarrisce, quasi come l'anno scorso dopo aver battuto la Juve a Torino. Con il Livorno è una partita sofferta, portata a casa con molta fatica nonostante Handanovic resti inoperoso. E' l'avvisaglia dell'inversione di tendenza. Il gol subito da Kone al Dall'Ara non è un gol che subiscono le squadre di Mazzarri in trasferta, ma la reazione è veemente e solo per caso non arrivano i tre punti. Ed ecco il doppio esame di maturità: il calendario offre due partite casalinghe in cui fare bottino pieno per lanciarsi definitivamente a ridosso delle primissime. Falliti.

Tra Sampdoria e Parma, salta all'occhio l'opposto atteggiamento della squadra, che alla fine conduce allo stesso risultato: un pareggio. Con la Samp, c'è quasi la sindrome del "braccino": si prova a difendere il golletto di Guarin davanti a Thohir, ma Renan azzecca il sinistro a un minuto dal 90' e resta solo tanto amaro in bocca. Poi ecco la gara col Parma, quasi logica conseguenza del pari con i blucerchiati. Lì si giocò al risparmio, domenica sera, invece, in campo fin dal 1' tutta l'artiglieria pesante ad eccezione del solito Belfodil. Squadra slegata, sbilanciata, senza l'ombra di un mediano in grado di recuperare palla e offrire polmoni. Mazzarri accetta il rischio consapevolmente, lasciando fuori Taider e provando a vincerla come farebbe un boxeur all'ultimo colpo: finisce ancora in parità. E' la vecchia storia della coperta corta: se ti difendi e speculi, arriva la beffa; se attacchi e ti scopri, te la vedi brutta. Ne consegue che adesso bisognerà ritrovare anche quelle certezze trovate a fatica nei primi mesi di duro lavoro, perché dietro la squadra appare impaurita e meno sicura di un mese fa.

E' il tentativo di fare il salto che sta fregando Mazzarri. La volontà, sacrosanta, di salire un gradino, di alzare l'asticella. Si era partiti con la ritrovata fase difensiva, adesso ci voleva la maturazione totale per dominare le partite, chiuderle e impacchettarle. Perché non ci si riesce? Forse qualche elemento ha perso brillantezza; forse qualcuno non ci mette la grinta necessaria; forse è solo il normale decorso del processo di crescita. O forse, probabilmente, è un problema di organico. Manca un esterno sinistro che dia ricambio a Nagatomo e uno a destra che faccia altrettanto con Jonathan. Mancano, ovviamente, Icardi e Milito. E manca, soprattutto, un centrocampista che abbini quantità e qualità. Cambiasso sta disputando una buona stagione, ma non è eterno; Taider non offre ancora garanzie totali; Mudingayi e Kuzmanovic, per motivi diversi, non rappresentano alternative valide; Alvarez non può fare tutto; Guarin è in una fase di chiara involuzione; Kovacic va a corrente alternata com'è normale per uno della sua età.

Se la filosofia di gioco fosse quella di avere per 90 minuti il possesso di palla, si potrebbe pensare a un Kovacic regista basso con due interni a tutto campo. Ma è evidente come il disegno tattico di WM sia di diverso tenore e che il croato non sia ancora pronto per un ruolo così delicato vista anche la struttura e il livello di tutta l'Inter. Mancherebbero, tanto per essere chiari, i Vidal e i Pogba di turno.

E qui torniamo all'inizio del discorso, ossia alle parole proferite da Mazzarri in conferenza stampa. "Da quando sono arrivato io, non c'è stato mercato". Eloquente. Pazza Inter... ammalata. Ora serve una cura, ammesso che ci sia.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 10 dicembre 2013 alle 00:01
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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