Cosa hanno in comune Rosario Abisso e Mauro Icardi? La risposta è presto detta: entrambi intercettano la rabbia e la frustrazione di milioni di tifosi interisti per il loro comportamento, che in modi diversi ha danneggiato la squadra di Luciano Spalletti nella bagarre Champions, da domenica scorsa più accesa che mai. Il +3 dei nerazzurri sul quinto posto occupato dalla Roma è il risultato di un'equazione che somma l'orgoglio al post-giudizio di un arbitro ostinato e un centravanti indisponibile che vivono fuori dal tempo. Protagonisti di atteggiamenti anacronistici, il fischietto di Palermo e il fu capitano nerazzurro si sono aggrappati a vecchie abitudini ormai in disuso per esercitare il loro potere su altri uomini, vittime inconsapevoli di un destino al quale si sono accorti loro malgrado di non poter mettere mano.

L'uno, il numero 9 della Beneamata, continua a rifiutare l'idea di essere stato destituito dal ruolo di leader formale del gruppo e per ripicca sta provando a forzare il concetto ormai passato di moda della dipendenza della squadra dai suoi gol. Un tentativo senza esito, visto che il prodotto interno lordo fatto registrare in zona calda da Lautaro Martinez e compagni non ha subito flessioni da quando Maurito ha deciso di guardare le partite dalla tribuna o davanti alla tv: anzi, c'è stata pure un'impennata, con il conto delle reti all'attivo che è schizzato a dieci in quattro partite. Numeri niente male, che vanno certamente contestualizzati, ma che ribadiscono con forza che c'è vita oltre Icardi, come tra l'altro già dimostrato nella prima parte di stagione quando era Lucio a tenerlo in panchina per ragioni legate al turnover. Il 'come volevasi dimostrare' che chiude il teorema di una storia nerazzurra possibile senza il bomber più prolifico è una questione che però va rimandata a giugno, dato che – fino a prova contraria – lo stesso rimane un patrimonio economico del club e tecnico della rosa. Ecco perché il gran rifiuto di scendere in campo dell'argentino ha un doppio effetto negativo sul mondo Inter: oltre alle limitazioni imposte all'allenatore in sede di rotazioni offensive, c'è anche il danno di mercato di un giocatore che non può confermare il valore del suo cartellino, fissato fino alla ridiscussione del tanto chiacchierato rinnovo a quota 110 milioni di euro valida per i club esteri.

Poi c'è l'altro, l'attore protagonista insospettabile nel lungo romanzo della stagione interista, quell'Abisso che si misura tra il direttore di gara prima e dopo l'anno zero del Var. E' infatti questa la pecca più grande che viene rinfacciata alla giacchetta giallo fluo che ha arbitrato l'ormai famigerata Fiorentina-Inter 3-3. Posto che nell'era pre-tecnologica il signor Abisso sarebbe inciampato come minimo in due topiche, quello che sconcerta è che - sul finale di una partita in cui i Video Assistant Referee gli hanno evitato figuracce – abbia deciso di diventare il paladino di una categoria resistente alla moviola in campo un po' come l'operaio Ned Ludd quando nel XIX secolo ispirò il movimento operaio inglese che reagì violentemente all'introduzione delle macchine nell’industria.

Quello che rimane all'Inter nella prima di tante settimane decisive da qui a maggio è un senso di impotenza di fronte all'orgoglio e al post-giudizio della coppia Icardi-Abisso, due ex comandanti che, pur di non ammettere al mondo i propri errori, preferiscono perseverare nelle loro convinzioni anche quando sono smentite dai fatti. Il consiglio spassionato rivolto a entrambi è di cominciare a credere non solo ai propri occhi, ma anche di guardare gli eventi da altri punti di vista. Che siano di una telecamera collocata a bordocampo o di un compagno di squadra che invita a ripensare a certi atteggiamenti.

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 28 febbraio 2019 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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