"Dopo l'addio di Moratti, l'Inter ha camminato un po' nel deserto". La metafora della squadra viandante in un luogo lontano dall'affollata Europa che conta utilizzata da Luis Figo potrebbe essere consegnata agli archivi domenica prossima, ma solo a patto che i nerazzurri riescano a vincere la sfida con la Lazio che assegna l'ultimo pass per la Superchampions. 

Nello scenario dell'Olimpico, l'unico risultato ammissibile per Icardi e compagni è il segno '2', il che rende l'ultimo atto del campionato di Serie A tutto fuorché una finale: la singolarità di questa contesa, alla quale si fa fatica a dare una definizione precisa, è che sembra un match dei playoff ma viene disputato all'interno della regular season. Quest'ultima, torneo all'italiana composto da due gironi di 19 gare ciascuno, a un passo dal traguardo rischia di non riuscire a stabilire chi è la migliore compagine tra quella biancoceleste e nerazzurra. O meglio: in caso di blitz esterno degli ospiti, gli stessi chiuderebbero il campionato a quota 72 come gli avversari precedendoli in classifica in virtù dei punti realizzati nei due scontri diretti. Insomma - dopo sette mesi di strisce vincenti, crisi di risultati, polemiche arbitrali, reciproche accuse sul caso De Vrij – potrebbe servire la formula in uso nelle Coppe con le sfide ad eliminazione diretta per determinare quale sarà l'ultima rappresentante italiana nell'élite del calcio continentale.

Paradossale, prima ancora che inusuale come epilogo: comunque vada, dopo le 22.30 di domenica, ci sarà chi rivendicherà il carattere meritocratico del verdetto definitivo e chi, invece, costruirà in quattro e quattr'otto uno specchio fatto di tesi impossibili da argomentare sui quali arrampicarsi. Tutto bello e tutto giusto sopra la linea che separa la top 4 dal fallimento, paesaggio fatalmente desolato per chi occuperà la quinta posizione che, in termini pragmatici, sarà uguale identica alla sesta. Europa League in ambedue i casi, con il danno economico e di immagine che si aggiungerebbe alla beffa di aver accarezzato fino agli sgoccioli l'obiettivo massimo, che ha il torto di essere equivalente a quello minimo, fino a novanta minuti dal triplice fischio sull'annata che chiude l'anno zero nerazzurro.

Altro che 'il viaggio non è la meta ma il percorso', Lazio e Inter sanno di avere valori da Champions e, per questo motivo, il fatto non sentire riecheggiare in casa loro la famosa 'musichetta' che fa venire la pelle d'oca sarebbe la sventura meno gradita dopo tutte le peripezie attraversate nel corso di un'annata vissuta da protagoniste. "Chiaro che entrare in Champions farebbe da traino per tante situazioni", ha ammesso candidamente Spalletti domenica, poco dopo il match point fallito da Inzaghi all Scida di Crotone. Ecco, più che del traino, i giudizi della critica e dei tifosi risentono dell'irresistibile forza di attrazione del risultato; e, d'altronde, non c'è altro modo più oggettivo per determinare il confine tra successo e fallimento. Crudeltà di questo sport, spietatezza di uno sceneggiatore che non poteva scrivere copione con un finale così adeguato e inadeguato allo stesso tempo. Un serie tv di 38 puntate, con colpi di scena immancabili e turning point disseminati un po' a casaccio per disorientare lo spettatore, che si risolve nei 90 minuti più attesi degli ultimi sette anni per i fan nerazzurri. 'Oasi nel deserto', potrebbe essere il titolo adatto, se si ci vuole rifare alle parole pronunciate da Figo prima della finale tra Atletico Madrid e Marsiglia. Sperando che la Champions non diventi ancora un miraggio.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 17 maggio 2018 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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