Non ricordiamo di preciso quando fu. Era terminata da poco l'ennesima partita desolante incastonata in una stagione a dir poco difficile, quando un Massimo Moratti livido di rabbia e compreso nella mortificazione della sua gente affermò: "stavolta cambio tutto". I primi commenti che ne seguirono fecero riferimento all'insoddisfazione di un presidente generoso e tradito verso un gruppo di giocatori con i quali, terminata la lunga luna di miele dei successi, stava per iniziare a fluire il fiele della resa dei conti. E invece Massimo Moratti intendeva ben altro, una vera e propria rivoluzione culturale dalla quale far ripartire non solo la squadra o la societa' ma i motivi stessi per far calcio, non solo con l'obiettivo di "resistere" come nelle ultime 2 stagioni ma per rivendicare il proprio protagonismo con una manovra ad ampio spettro. Il disegno che nella testa del suo esecutore aveva preso forma evidentemente da tempo si e' presto materializzato in effetti tangibili. Il riordino della societa' con l'innesto di figure nuove e propositive -il meglio per le competenze richieste- nei gangli vitali dell'apparato, una diversa filosofia di approccio ai meccanismi che regolano in maniera strutturale la vita delle societa' sportive - leggesi vistosa accelerazione sul progetto di costruzione di un nuovo stadio- l'ulteriore valorizzazione del patrimonio tecnico di un settore giovanile che non ha pari certamente in Italia, probabilmente in Europa. Ottimizzazione delle risorse e drastica riduzione dei costi abiurando la politica del mercato e dei rinnovi di contratto delle figurine magari doppie e con poche possibilita' di scambiarle causa ingaggio troppo munifico e appeal appannato. Potenziamento della rete degli osservatori assumendo un vero e proprio guru della materia come Valentino Angeloni.

E' fuori luogo mutuare format di successo  puntando quindi, per esempio, il mirino su un giocatore quando costa 500.000 dollari? Bisogna aspettare che il prezzo lieviti sotto la pressione volatile delle logiche di mercato, della concorrenza drogata da faccendieri, consulenti di area, agenti e consimili in un turbinio di movimenti oscuri e impalpabili giocati sull'acquiescenza di chi compra sovrapprezzo sapendo di ungere troppe mani. Moratti ce  l'aveva detto quindi che sarebbe cambiata la filosofia e in molti, colpevolmente  avevamo indugiato a guardare  il dito che sembrava indicare che la festa degli ingaggi milionari -senza adeguato ritorno- era finita.  Adesso che sappiamo dov'e' la luna possiamo ragionevolmente dargli torto? Tra tanto blaterare di progetti da parte di chi annaspa tirando a campare, oggi all'Inter ce n'e' uno e che piaccia o non piaccia e' coerente e, in quanto coerente - fino a prova del contrario- credibile. Ma non condiviso da tutti. Stiamo parlando dei tifosi, per intenderci, o almeno di quella parte che ragiona sui refrain di un calciomercato che si nutre di una vita propria di astrazioni, in una sorta di prolungamento del fantacalcio dove sfugge la differenza tra la moneta virtuale in mano a tutti e quella sonante di chi ha gia' usato il metro dell'amore verso la propria creatura e verso la propria gente per spendersi piu' di chiunque  in 17 anni. Sfugge ai nostalgici del top player sbattuto in prima pagina associato alle follie nerazzurre (adesso l'immagine e' spesso coniugata ad altre bandiere salvo scoprire poi che si tratta di trop player per l'intero calcio italiano), agli oltranzisti della pretesa verso la societa' "e se non ci sono piu' i soldi che venda", poiche' non ci sara' l'emiro o chi per lui a fungere da uomo della provvidenza. Mai. Senza la pretesa di essere piu' "avanti" di qualsiasi altro tifoso interista chi scrive invita tutti ad affrettarsi ad entrare in sintonia con la nuova filosofia perche', se avremo un'Inter competitiva e non effimera, lo dovremo alla real politik di Massimo Moratti. Il quale anche nel mercato in corso ha scelto di esserci in ogni trattativa, come mai in passato.

Come il tennista forte e sicuro di se' ha deciso di sparare da dentro il campo i propri colpi, propiziando personalmente i contatti, toccando con mano e pezzo per pezzo le tessere dei movimenti in entrata ed ancora di piu' quelli in uscita, mettendo su quel  campo le proprie aderenze nel calcio che conta economicamente e di cui sente di potersi fidare. Da Leonardo ai petrolieri dell'Anzhi, dedicando tanta vita propria per dare altra vita alla sua grande passione. Il Moratti da battaglia che riduce di fatto le deleghe ai propri collaboratori e agisce da direttore generale vecchio stile segna il punto di arrivo di un processo di maturazione di un grande dirigente sportivo che oggi ha esperienza da vendere ma anche il solito buon cuore e la pazienza di non irrigidirsi con coloro che borbottano e minacciano contestazioni.  Presente, insomma, su tutto e per il bene di tutti.

E un po' meno ricattabile dalle ragioni della bonomia e dell'affetto verso i calciatori e gli uomini piu' vicini che tanto gli hanno dato, un po' meno ricattabile, inoltre, dalle pressioni della piazza, da chi esita a detergere i propri occhi dalla cispa del pregiudizio e dell'indebita e cieca pretesa. "Competitivi per forza, siamo l'Inter", parola di un presidente diverso e che al sottoscritto piace sempre di piu'.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 29 giugno 2012 alle 00:00
Autore: Giorgio Ravaioli
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