È arrivato quasi a sorpresa, quando nessuno probabilmente se lo aspettava: tutti pronti a ignorare quel sibilo proveniente dal suo Paese e pronosticare per lui un’asta furiosa tra top club internazionali in vista di giugno, quando il suo contratto con il Tottenham sarebbe andato a scadenza e mai più rinnovato, come aveva fatto del resto capire il diretto interessato. Invece, l’abilità e la pazienza di Beppe Marotta hanno fatto sì che, per una spesa importante ma non certo elevatissima, l’Inter si facesse beffe di tutti e portasse da subito a casa Christian Eriksen, sicuramente uno dei cinque colpi più grossi compiuti nel calciomercato di gennaio anche volendo ampliare il discorso all’ambito europeo. Il centrocampista danese, probabilmente, pensava di essersi messo alle spalle un momento travagliato e di poter rilanciare alla grande le sue quotazioni nella nostra Serie A. E i presupposti d’altronde c’erano tutti: accolto come una star dai tifosi, addirittura per la sua presentazione, compiuta comunque in tempi piuttosto stretti, è stato addirittura preso in prestito il sontuoso scenario della Scala di Milano con tanto di orchestra, atto propedeutico ai tanto desiderati acuti nella Scala del calcio.

Ci si aspettava da Eriksen un impatto da primo violino, un maestro in grado di suonare melodie magiche con le quali estasiare ed esaltare i tifosi. Ma in questi primi mesi di esperienza italiana, per il danese non c’è stato un ruolo da protagonista, anzi sin qui l’ex Spurs è stato una voce abbastanza defilata nel coro nerazzurro: schierato raramente dal primo minuto da Antonio Conte, che non intende rinunciare a quello che è il suo credo tattico, e arrivato comunque dopo una prima di stagione un po’ in sordina prima con Mauricio Pochettino e poi con José Mourinho, Eriksen ha pagato un dazio forse atteso, ma certamente sproporzionato rispetto a quanto era lecito e logico aspettarsi. Solo una rete segnata, quella nella trasferta bulgara di Europa League, qualche spezzone a volte interessante a volte un po’ insipido in campionato, il lampo sfumato della clamorosa punizione dalla grande distanza finita sulla traversa nel derby contro il Milan. Bottino magro, indubbiamente. Al quale si è aggiunta la situazione extra-campo dello sfratto dall’hotel di Milano dove alloggiava temporaneamente a causa della ben nota emergenza di questi giorni. Insomma, bisognerebbe spiegare al buon Eriksen cosa vuol dire non avere solo il nuvolone dell’impiegato fantozziano per provare a dare una chiave di lettura ironica di questa situazione.

Non ha avuto praticamente nemmeno il tempo di integrarsi e capire il calcio italiano che Eriksen, così come tutti i calciatori da ormai tantissime settimane, sono alle prese con questo forzato time-out, lontani dai campi di gioco e in attesa soprattutto di capire se mai ci sarà un accordo per la ripresa del campionato o se alla fine sarà tirata giù la saracinesca, in un lungo batti e ribatti tra le parti diventato ormai più stancante dell’attesa stessa per la decisione. E aspetta, come giusto che sia: aspetta come tutti e come tutti si dedica all’allenamento fai da te nel nuovo alloggio trovatogli dalla società, correndo ma senza toccare il pallone, non esattamente la cosa migliore per un calciatore di professione. Attende e intanto racconta, Eriksen, come sta vivendo questi giorni in un’intervista rilasciata ad un quotidiano del suo Paese. Racconta della famiglia che finalmente lo ha raggiunto in Italia, dei passatempi, della voglia di tornare a calciare una sfera, anche del piccolo contrattempo avuto con la Polizia italiana. E soprattutto, spiega di non avere alcun tipo di rimorso per la scelta fatta a gennaio: "Mi è sembrata la cosa giusta da fare. Erano molto desiderosi di prendermi. All’Inter ci sono più possibilità di vincere rispetto al Tottenham, perché l'alto numero di squadre inglesi forti rende solo più difficile vincere in Inghilterra. In Italia mi sento molto ben accolto sia dal club, sia dai compagni che dai tifosi. Certo, è tutto diverso: mi dovevo inserire in un gruppo già formato, imparare una nuova lingua e un nuovo stile di gioco", le sue parole.

Non intende tornare indietro, Eriksen, in barba a quelli che nei giorni scorsi avevano creduto alle voci della confraternita della Bufalotta che lo volevano già pentito della scelta fatta e magari pronto a fare le valigie destinazione Madrid. Ha capito che tutto l’ambiente Inter conta e conterà molto su di lui una volta che tutto sarà tornato bene o male a regime. Anche perché, intendiamoci: su questi schermi avevamo già avvertito di non cercare di caricare eccessivamente di aspettative il nuovo arrivato, forte finché si vuole ma ancora non avvezzo alle difficoltà insite nel campionato italiano. Ma purtroppo, il gioco vuole che più altisonante è il nome, più clamorosa sia l’operazione svolta, più le maglie intorno a te finiscono inevitabilmente con il farsi più strette: e allora, sono bastate le prime settimane non sberluccicanti a scatenare intorno a sé il solito plotone di opinionisti pronti a sganciare granate intorno a lui, a definirlo un acquisto azzardato, inadatto agli schemi di Antonio Conte e magari nemmeno fin troppo voluto dallo stesso allenatore, che avrebbe preferito un altro tipo di giocatore il cui nome lo sanno tutti. Fiancheggiati magari da grandi ex che si sbilanciano nel proporre alternative soluzioni tattiche che però francamente non sembrano essere pienamente confacenti o nel bollarlo già come una delusione salvo poi fare mezza marcia indietro aspettando l’ambientamento per vederlo determinante.

Già, ma quando tutto questo accadrà? Oggi, per dire, si sarebbe dovuto compiere un primo, piccolo passo verso il ritorno ad una normalità che però, nel mondo del calcio, sembra ancora assai lontana: riaprono i cancelli di Appiano Gentile, dove i giocatori nerazzurri potranno finalmente tornare ad allenarsi, seppur ancora a titolo individuale e in una situazione alquanto particolare, con disposizioni di sicurezza ben definite e paletti assortiti che renderanno il tutto certamente più estraniante. Una ‘pseudo-normalità’ che però slitterà ancora almeno di 24 ore e che durerà fino a quando sarà dato il via libera agli allenamenti di gruppo, e oltre per il momento sembra difficile vedere perché, tra un presidente Figc che non vuole fare il becchino del campionato, presidenti che battibeccano, soldi dei diritti tv che non arrivano e tifosi in tumulto, non si riesce a capire se la stagione sarà completata e soprattutto non si sa quale sarà il futuro del calcio italiano.

E allora, non resta che attendere. Come fa anche Christian Eriksen, che per ammazzare il tempo si diletta anche a giocare coi Lego, quasi in omaggio al suo Paese che dei leggendari mattoncini per le costruzioni è la patria. A pensarci bene, giocare coi Lego sembra quasi un ossimoro per lui: stride un po’ sentire uno come lui, elemento che fa anche della fantasia una delle sue doti principali, destreggiarsi con quei mattoncini colorati così rigidi e pesanti nella forma e quegli omini con il sorriso un po’ ebete perennemente dipinto sul volto che hanno dato vita nella storia anche a meme di una certa epicità. Ma poi rifletti e pensi che con quegli stessi mattoncini, mettendoli insieme con pazienza e creatività, si possono fare costruzioni gigantesche, vere e proprie opere d’arte. Così come Eriksen, mattoncino su mattoncino, può costruire con tempo e pazienza una storia importante, tutta tinta di nerazzurro.  

Sezione: Editoriale / Data: Mer 06 maggio 2020 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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