In medio stat virtus. La sentenza della scolastica medievale, che deriva da alcune frasi dell'Etica Nicomachea di Aristotele, viene in soccorso in questi tempi di tanto mercato e poco campo, quando Romelu Lukaku può mettere in mostra i suoi muscoli solo contro la piccola Virtus Bergamo, compagine della Serie D italiana. Un poker di gol variegato in un test match giocato in famiglia ad Appiano Gentile, del quale è stato restituito - tramite immagini offerte dall'Inter - solo il buono della prima prestazione del belga in maglia nerazzurra. Una performance straripante dell'ex United solo se parametrata al livello dell'avversario, colpito e affondato con tutte le armi del repertorio: due reti di testa, da gigante in mezzo ai giocatori bianconeri diventati minuscoli al suo cospetto, poi altri due sigilli messi a referto con il piede forte e quello teoricamente debole. A rimarcare una verità che era già apparsa chiara in Premier League, nel campionato dei pesi massimi dove dal suo debutto assoluto Big Rom è stato l'unico giocatore ad avere segnato più di venti gol con il destro (31), il sinistro (57) e di testa (23).

Tutti elementi che contribuiscono a comporre il puzzle delle aspettative sull'acquisto più costoso della storia del club nerazzurro, arrivato a Milano paradossalmente tra tanti squilli di tromba e qualche voce fuori dal coro al termine della sua peggior stagione da quando ha mosso i primi passi in Inghilterra: solo i 15 gol segnati da Lukaku in 45 presenze, per una media facilmente calcolabile di un centro ogni tre partite. Fatturato misero solo perché Lukaku ha abituato a numeri migliori e che comunque va calato in una stagione cominciata e finita peggio per il ManU. Una squadra con cui il feeling è arrivato ai minimi storici soprattutto dopo l'avvento di Ole Gunnar Solskjaer, non troppo disperato di fronte alla notizia della cessione che ha rimpinguato le casse del club. "Era arrivato il momento che Lukaku andasse via, è stato un buon affare per tutti", ha sentenziato il manager norvegese qualche giorno prima di coccolarsi la nuova versione dei Red Devils senza centravanti di ruolo. Quella del 4-0 al Chelsea di Lampard non proprio veritiero in una stagione che comunque è partita tra mille dubbi. Lo stesso Special One, acclamato da alcuni tifosi Old Trafford domenica scorsa, ha messo le riserve del Manchester City davanti ai cugini cittadini nella corsa al titolo. Quattro gol all'esordio che non spostano i verdetti, guarda caso come quelli realizzati da Lukaku poche ore prima del trionfo rosso nella prima recita dell'anno. Gli ex con il destino in comune almeno alla prima curva, con tanti pregiudizi da sfatare e un vecchio prestigio da recuperare.

Nessuno sa quale sarà la versione italiana di Lukaku, anche perché prima d'ora non si era mai celebrato il matrimonio con Antonio Conte, suo grande estimatore nonché tecnico capace di far sovraperformare i propri giocatori. Al tecnico salentino spetterà il compito di calarlo presto nell'economia del gioco del suo 3-5-2. Modulo nel quale il nativo di Anversa dovrà automatizzare i meccanismi, avendo quasi esclusivamente un background da 4-2-3-1. Questa sistema tattico, pur esaltandone alcune caratteristiche peculiari come la forza fisica, ha finito spesso per mettergli sulle spalle la responsabilità dell'intero reparto. Portandogli in dote anche la scomoda etichetta di attaccante che non segna alle grandi squadre. In questo senso i numeri 'inchiodano' Lukaku: nella sua carriera in Premier League, il classe '93 ha segnato 16 dei suoi 113 gol, pari al 14%, contro le big six (Arsenal, Chelsea, Liverpool, City, Tottenham e United), realizzando in media un gol ogni 358 minuti. Dato ulteriormente peggiorato a Old Trafford: una sola realizzazione in 20 presenze nel campionato inglese a fronte di 29 tiri in porta, con una percentuale realizzativa del 3%. Per contro, misurandosi con gli avversari più morbidi, ha segnato 97 gol in 175 presenze, con la media di una rete ogni 138 minuti.

Due facce della stessa medaglia che comunque non hanno impedito a Lukaku di salutare l'Inghilterra dopo essere entrato nel club elitario dei bomber con 100 gol all'attivo in Premier assieme a Sergio Aguero ed Harry Kane. Centotredici il totale di gol registrato nel campionato oltremanica dal 2011, una garanzia in fatto di continuità nella zona che conta del campo. Dove il belga si fa sentire anche alla voce assist: 42 in 252 gare in UK. Insomma, bisogna volare sopra la superficie per dare una valutazione esaustiva di questo giocatore, oggi 26enne, giunto a ridosso della sua maturazione calcistica. Che Lukaku sarà da dopo Inter-Lecce lo scopriremo solo vivendo, ma se la virtù sta in mezzo allora è giunto il momento per lui di mostrarla su ogni campo, contro ogni tipo di avversario e con ogni tipo di compagno.

Per quanto ne sappiamo ora, Lukaku è un giocatore che può adattarsi a diverse situazioni tattiche: di base è un centravanti capace sia di aprire gli spazi spalle alla porta grazie alle sponde per i compagni (rivedersi lo schema palla lunga e pedalare in uno United vs Liverpool 2-1 del 2018) che di puntare la porta in accelerazione dopo aver ricevuto un passaggio. Trentasei chilometri orari è la velocità di punta toccata in allenamento con lo United poche settimane fa, il secondo miglior tempo di tutta la rosa che ha generato non poche polemiche. Insomma, Lukaku è tutto tranne che il centravanti boa statico che potrebbe suggerire la sua stazza. E a proposito di forma fisica, lasciando perdere i commenti maligni di chi lo vede sovrappeso, tanto del contributo di Lukaku alla causa passerà dal modo in cui vorrà sudare la maglia in allenamento. Un giocatore con queste doti tirato a lucido può spaccare letteralmente in Serie A: pochi difensori, infatti, possono reggere il confronto pound for pound (ce ne vengono in mente 3-4) e in contemporanea rivaleggiare con lui in campo aperto. Partendo da questo presupposto, Lukaku – agli strumenti che gli ha regalato madre natura – dovrà aggiungere l'intelligenza di completarsi con un compagno di reparto (con Lautaro e Dzeko casca bene) e la sintesi di giocare a uno-massimo due tocchi per non forzare troppo una conduzione di palla non proprio eccelsa. Il che non gli vieta di produrre gli strappi irresistibili che riesce a fare quando chiama la profondità partendo anche da una posizione più esterna.

Tante soluzioni in unico giocatore che, alcuni, Moratti in primis, definiscono meno forte di Mauro Icardi. E tutti i discorsi fatti qui e che si faranno fuori da qui portano alla domanda delle domande: il nuovo nove dell'Inter è meglio di quello precedente? A livello tecnico-tattico ha già risposto Conte, inutile perdere tempo in inutili dissertazioni. Sul piano ambientale, è sotto gli occhi di tutti, non c'è partita: uno è un corpo estraneo, senza più la fascia né il numero che lo definisce, l'altro è il Godzilla che è arrivato in città e i cui effetti si possono misurare con il termometro dell'entusiasmo schizzato alle stelle. Senza abbandonarsi agli estremismi e ponderando con equilibrio tutti i pro e i contro, è logico dire che Lukaku è l'attaccante migliore che era disponibile sul mercato che andava messo al centro del nuovo progetto virtuoso di Conte. Il progetto di top player che va a sostituire l'altro incompiuto in una squadra che finalmente può dire la sua per la vittoria finale. Un'occasione irripetibile per Lukaku, un peccato mortale per Icardi che è a un passo dall'addio proprio nella stagione in cui si sarebbe potuto divertire.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 15 agosto 2019 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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