Una cosa e' certa. Non mi prudono le mani sulla tastiera all'idea di autocitarmi, di trarre riferimento da valutazioni espresse in precedenza per potere, tronfio, affermare "io l'avevo detto". Mi manca, per indole e forse per quella forma di educazione che bolla come egolatria la tentazione di prendersi troppo sul serio, la propensione al ruolo di mosca cocchiera. La premessa e' d'obbligo dal momento che, scusandomene, per una volta lo faro' ma solo perche' spinto da una buona causa. La causa in oggetto e' la tutela dell'immagine e del lavoro di Andrea Stramaccioni. Che e' entrato nel tritacarne della critica cosi' come avevo paventato a piu' riprese potesse accadere conoscendo la logica superficiale e pedestre profondamente radicata nel calcio che suppone delle capacita' di una tecnico a seconda del singolo risultato ottenuto, peggio che mai se collegabile ad un periodo negativo. Ed 8 punti nelle ultime 8 partite sono un bottino oltremodo deludente che matura nel collo di bottiglia degli umori della piazza, esacerbati dalla critica togata implacabile quando si applica sulle cose tinte di nerazzurro, fiumi di veleno che altrettanto implacabilmente sgorgano sulla testa dell'allenatore. Gia' eroe del nuovo che avanza nel periodo della vela gonfiata dal filotto di dieci vittorie, meritevole dei paragoni piu' impegnativi avendo dalla propria parte quanto meno l'indiscutibilita' di un rapporto tra qualita' e prezzo senza precedenti, il giovane mister romano si e' piantato all'improvviso sull'erta della continuita' di risultati insieme al gruppo di giocatori affidatigli. I superstiti, naturalmente. Colpevole a questo punto, ma guarda un po', innanzitutto di inesperienza.
Inesperto se dopo una partita dominata mette 0 punti o anche 1 solo nella casella della classifica, accorpando tra le proprie responsabilita' gli errori clamorosi sotto porta dei propri giocatori. Incapace, poi, se e' costretto a giocare sempre con gli stessi uomini da mesi sotto la falcidie degli infortuni- perche' non attribuirgli anche un ruolo nel ménage dello staff sanitario alla voce gestione lesionati e relativi tempi di recupero-, privo degli strumenti di analisi e strategici se con scientifica e luciferina puntualita' arbitri prima e giudice sportivo poi si muovono su un crinale ostile, secondo profili di comportamento peralto preesistenti nonche' malinconicamente noti. Colpevole di schierare come ad Udine una linea di centrocampo che la memoria del vecchio interista scrivente colloca tra le piu' modeste di sempre. Solo pochi, fortunatamente, gli muovono addebiti sul florilegio di situazioni aperte dalla cosidetta vicenda Sneijder nella quale per zelo aziendalista-cosa pretendere di piu'- ha provato, fino allo stoicismo, ad impallare con la propria faccia lo sguardo del tifoso incredulo rivolto alla ricerca di un perche' plausibile e di qualcuno da cui esigere spiegazioni. Spiegazioni che il presidente Moratti si e' sentito in dovere invece di esprimere al creato dopo la batosta di domenica scorsa, delegittimando con le sua parole quelle del tecnico rese nell'immediato dopo partita. Anche in questo caso con un eccesso di zelo purtroppo in questo caso niente affatto aziendalista.
Ci saremmo aspettati, invece, e lo diciamo dolendocene, la complice comprensione della sua esasperazione, dopo una gragnuola con pochi precedenti di malversazioni subite, espressa incontenibilmente e, quindi, per una volta senza il bene della cautela nella farragine emotiva di una partita persa incredibilmente. Ma anche solo glissando sull'argomento, il nostro presidente avrebbe difeso innanzitutto se' stesso e la propria causa prima ancora che un tecnico gia' inchiodato alla sbarra. I suoi investimenti, la voglia di essere protagonista senza la garanzia del rispetto delle istituzioni calcistiche dove purtoppo a distanza di anni, stabilmente, la sua, la nostra societa' continua ad essere trattata da cenerentola. Dovendo, per di piu', fare i conti col mendace attributo di "grande" squadra ad uso e consumo del primo club reclamante di seconda fascia dopo un presunto torto subito per nostra mano. Nel nostro personalissimo cartellino, come avrebbe detto Rino Tommasi, Andrea Stramaccioni sta vincendo ai punti il suo personale match contro avversari visibili ed occulti tenendo, con buona scherma e soprattutto dignitosamente, il centro di un ring che si e' trovato, con l'orgoglio di chi sa di essere preparato a tutto tranne che a gettare la spugna. Se l'e' trovato quel ring, vale la pena ripeterlo, accettando tutto, dai secondi all'angolo che gli fanno il mercato, alla totalita' delle regole d'ingaggio. Ma non i colpi sotto la cintura da qualsiasi parte arrivino ne', tanto meno, le mitragliate del fuoco amico. Che, tra l'altro, davvero non merita.
Autore: Giorgio Ravaioli / Twitter: @Gravaioli
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