Lo stadio è parte integrante di un club e dei suoi tifosi. San Siro, dal 1980 denominato “Giuseppe Meazza”, in onore del più grande calciatore italiano della storia, da 61 anni è la casa di Inter e Milan, due delle squadre più blasonate in Europa e nel mondo, in una città come Milano dove modernità e tradizione si sposano perfettamente come in pochi altri posti. E nonostante la condivisione, “La Scala del Calcio” o il “Tempio”, assume contorni e atmosfere diametralmente opposte a seconda di chi vi giochi. Il derby è tale anche parlando di stadio, esistono già due San Siro, settimanalmente.

Il dibattito di questi giorni sul possibile abbattimento di uno dei simboli di Milano, mi pare alquanto surreale. A prescindere dalla volontà, magari imposta dal business figlio del cosiddetto calcio moderno, di costruire un impianto nuovo di zecca che permetterebbe di aumentare gli introiti dei due club vogliosi di tornare a competere, anche finanziariamente, con gli altri squadroni europei. Ma non si cancella la storia. Mai. E attenzione ad affermare che nel calcio non si possano anteporre i sentimenti alle esigenze economiche. Se la baracca del pallone ancora si trascina, i padroni del vapore dovrebbero ringraziare e coccolare i tifosi, quella categoria dell'uomo senza logica e razionalità, che ancora compie sacrifici economici e fisici per correre dietro ad una maglia, ad un simbolo, ad un ideale, chiamati, nello specifico, squadra di calcio. Se invece qualcuno pensa veramente che tutto questo non conti più nulla e che il calcio possa andare avanti solamente picchiettando su una calcolatrice, a mio avviso prende un grande abbaglio che si ripercuoterà anche sui conti e sul futuro di questo sport, almeno in Italia.

La storia che uno stadio di proprietà, o che solo lo stadio di proprietà, aiuti a vincere, non mi intriga. Penso che aiutino a vincere innanzitutto i grandi campioni, una grande società, un grande progetto sportivo. E se vinci, diventi veramente oggetto di desiderio di sponsor e patner commerciali. La tesi contraria fa comodo a chi pensa solo a determinati interessi che con la vittoria sul campo c'entrano poco.

San Siro è bellissimo. È imponente. È la casa del calcio, perché dove ti metti, vedi la partita in un modo fantastico. C'è una modernissima linea di metropolitana a pochi metri dagli ingressi, tre anni anni fa si è giocata una finale di Champions League tra le due squadre di Madrid. Spettacolo e organizzazione perfetti. E allora? Quando si intervista un giocatore avversario delle milanesi, risponde sempre che sarà una grande emozione giocare a San Siro, aggiungendo che rappresenta lo stadio più bello del mondo. E allora? Che cosa abbatti? Vade retro, ruspa. San Siro è unico, a mio avviso era ancora più bello prima della costruzione del terzo anello. All'esterno, la visione di quei tornantini che avvolgono l'impianto con la marea di gente che sale con la bandiera in mano, pronta ad arrivare alla meta, la visione del terreno verde dove poi apparirà la tua squadra salutata dal boato della folla. La foschia, metà campo gelata, la segatura, lo storico speaker che con voce stentorea pubblicizzava i mitici estintori Meteor. Preistoria che ai più giovani non interessa? No, è storia e la storia va studiata per poi vivere al meglio il presente senza uccidere i sentimenti.

Hanno abbattuto anche Wembley, dicono, perché non si può fare con San Siro? Il paragone non regge. Il leggendario impianto londinese era veramente obsoleto e ospitava solo le partite della Nazionale. In una città dove gli stadi sono tanti e i derby partite normali, a parte l'eccezione di Arsenal-Tottenham e poco altro. San Siro è invece la Milano del calcio, in Italia un unicum per intere generazioni.

Detto questo, sono perfettamente consapevole che qualcosa bisognerà fare per coniugare al meglio storia, emozioni ed esigenze attuali. Da interista, sogno un San Siro solo nerazzurro con loro da un'altra parte. Ma se i due club decideranno di giocare ancora in un stadio condiviso, che si rifaccia il trucco ad un impianto che, seppur antico, resta di una modernità e di una funzionalità esaltante. Non sono un architetto, leggo che la ristrutturazione obbligherebbe Inter e Milan a giocare altrove per almeno tre stagioni. Sarebbe utile approfondire di più questo aspetto, perché non escludo che esistano dei geni, nel campo, che possano operare senza quasi accorgersene. Anche perché per almeno tre mesi l'anno, a San Siro non si gioca. E poi, abbattere una splendida casa, per costruirne una più piccola, a pochi metri, sempre condivisa, che senso avrebbe?

In attesa di notizie più precise sulla sorte della Scala del Calcio, torniamo alle vicende della nostra Inter. La sosta è finita, domani si torna in campo, a San Siro, contro la Lazio. Il profumo della vittoria nel derby ancora ci inebria, la Beneamata ha dato un calcio al momento negativo e all'eliminazione in Europa League, prevalendo, da sfavorita, nella partita più attesa. La classifica ora si guarda più volentieri, a dieci giornate dal termine del campionato sono sei i punti di vantaggio sulla quinta posizione occupata dalla Roma, che nel pomeriggio sarà impegnata all'Olimpico contro il Napoli. Nulla è ancora garantito in chiave Champions, la discontinuità è ancora un brutto difetto non risolto in casa Inter, ma il gioco e lo spirito di gruppo mostrati nel derby, fanno ben sperare. Inter-Lazio si annuncia grande partita. I soliti sessantamila a far da cornice, l'amicizia tra le due tifoserie, la posta in palio, visto che anche i biancocelesti non hanno abbandonato l'idea di poter conquistare quel quarto posto che proprio l'Inter le negò, vincendo in rimonta e solo nel finale la famosa sfida disputata all'Olimpico il 20 maggio 2018.

La squadra di Simone Inzaghi sta bene, anche loro si sono iniettati una potente dose di autostima trionfando nel derby capitolino, che da quelle parti rappresenta veramente un campionato nel campionato. E poi la Lazio ha già festeggiato in questa stagione a San Siro, eliminando l'Inter nei quarti di finale di Coppa Italia, giocando meglio una partita decisa poi ai calci di rigore. La Lazio ha poi un impianto di gioco che, se espresso al meglio, mette in difficoltà una squadra con le caratteristiche dell'Inter. Piedi buoni, massimo due tocchi, pressing alto. E davanti un Ciro Immobile che spesso riesce a scaricare positivamente nel suo club le frustrazioni derivanti dalle opache prestazioni in una Nazionale che invece non addice al suo modo di giocare.

Ci si augura dunque, che Luciano Spalletti trovi le giuste contromisure, come gli è riuscito splendidamente nel derby. Per vincere domani sera ci vorrà quindi un'Inter spavalda, senza timori, spietata nelle ripartenze e vogliosa di far valere il fattore campo. Purtroppo mancheranno alcuni giocatori importanti, vittime della settimana internazionale. Mancherà in difesa l'ex Stefan de Vrij, che contro la Lazio non riesce proprio a giocare e in attacco Lautaro Martinez. Il “Toro” si ferma nel momento migliore, quando stava dimostrando di essere un valore aggiunto e non solo un ottimo sostituto. Così come sarà quasi impossibile vedere in campo dal primo minuto Radja Nainggolan, che però freme per poter dare una “vampata” delle sue in questo finale di stagione. Che Matias Vecino replichi la suntuosa prestazione sfoderata contro il Milan. Si attende l'impiego di un altro ex, Keita Baldé, come prima punta.

Salvo sorprese, partirà dalla panchina Mauro Icardi, tornato ad allenarsi con il gruppo dopo quaranta giorni di assenza per i noti, o non noti, motivi. Di parole, sul caso, ne sono state spese tante. Dai sui fans, pochi, e dai contrari, molti. Ora, per il bene dell'Inter, servono i fatti, e i fatti di Icardi si chiamano gol. Probabilmente l'annuncio del suo nome sarà accompagnato da fischi. Ma un eventuale suo gol sarà salutato da un boato. È il bello del calcio, dove alla fine conta solo il campo. E sul campo, dentro all'area di rigore, suo regno, Mauro Icardi ha già dimostrato di saperci fare.

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Sezione: Editoriale / Data: Sab 30 marzo 2019 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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