Tuoni e fulmini hanno scandito l'agosto interista nonostante il meteo tendesse sempre al bello. Poco prima di ferragosto è stata ufficializzata la cessione di Romelu Lukaku al Chelsea per 115 milioni. Dopo
Antonio Conte, dopo Hakimi, la squadra laureatasi campione d'Italia cedeva anche il suo Totem. Big Rom, il re di Milano, il giocatore-tifoso che strombazzava in macchina in mezzo al popolo della Beneamata per festeggiare lo scudetto arrivato sulla sponda nobile del Naviglio, dopo ben undici anni di logorante attesa. Benservito anche a Lele Oriali, “sollevato dall'incarico”. Una vita da mediano e una vita a onorare l'Inter, prima da giocatore e poi da
dirigente, cancellata da un freddo comunicato che non c'entra nulla con la
storia del club, costellata da emozioni e sentimento.
A prescindere dalle decisioni che una società ha il diritto di assumere. Ma all'Inter, anche la forma ha ancora un significato per la la sua gente. Deve ancora averlo. Via i più forti, i più vincenti, perchè a Nanchino i conti non tornano da un pezzo e il calcio non appare più un asset strategico per la proprietà cinese. Sembrava l'inizio della fine con il povero Simone Inzaghi subito messo a dura prova dopo i sorrisi che avevano accompagnato la sua firma su un contratto che doveva rappresentare una svolta importante della sua carriera da allenatore dopo cinque anni molto belli alla Lazio, dove però è più difficile raggiungere la vetta. Per fortuna nel calcio esiste il campo che dice la verità sull'operato di una dirigenza. E all'Inter, la dirigenza, non la proprietà, ha continuato ad operare da campioni d'Italia con gli acquisti che sappiamo, pur con un budget ridotto all'osso, nonostante i milioni incassati dalla cessione di Lukaku.
Già nelle amichevoli precampionato si era visto come questa Inter avesse qualcosa
di interessante da proporre, gol e vittorie hanno scandito la marcia di avvicinamento alla prima di serie A. Ma, giustamente, non vi è stata enfasi per gare giocate senza la tensione dei tre punti. Ma poi è arrivato, finalmente, il momento tanto atteso e da molti tifosi, temuto. Sabato 21 agosto il Meazza ha riaperto a metà per la prima di campionato contro il Genoa. Si sono presentati all'appuntamento poco meno di trentamila anime, provenienti da tutta Italia. Presente anche la Curva Nord, con i suoi striscioni, le sue bandiere, i suoi tamburi, i suoi cori. Fischio di inizio e dopo pochi minuti le ansie e le preoccupazioni si sono trasformate in piacere fisico per ciò che il campo, giudice supremo, stesse mostrando. L'Inter di Inzaghi, Dzeko, Calhanoglu e dello zoccolo duro campione d'Italia, ha iniziato a dare spettacolo piazzando alla fine del match un poker servito che ha strappato applausi a scene aperta.
La quiete dopo la tempesta. Sono bastati ventitrè minuti a Simone Inzaghi per ricevere il coro che scandiva il suo nome. Lui ha risposto salutando la Curva a più riprese, mentre con lo sguardo continuava a seguire i suoi ragazzi che nascondevano il pallone ad un Genoa in grande difficoltà. Vietato esaltarsi dopo una sola partita, ma quanto visto sabato scorso a San Siro fa bene al cuore e alla mente di chi tifi nerazzurro. Ciò che ha colpito maggiormente è stata la qualità del gioco espresso, la facilità di inserimento dei nuovi Dzeko e dell'ex milanista Calhanoglu, entrambi a segno con gol di pregevole fattura, come si diceva una volta. Sono bastati dunque novanta minuti più recupero in casa Inter per passare dalla depressione alla serenità e alla voglia di rivedere all'opera la squadra, che venerdì sera si esibirà nell'arena calcistica di Verona, chiamata Bentegodi. Per fare bene anche in terra veneta servirà la stessa serenità mentale mostrata contro il Genoa.
Senza fare paragoni con il recente passato. Antonio Conte, a mio avviso, è stato l'artefice principale del ritorno al successo. Lukaku, come Hakimi, Barella e tutti gli altri, sono stati il suo braccio “armato”. Quella squadra ha vinto e solo i prevenuti a prescindere possono ora dimenticare. Certo, si volta pagina, magari si inseguirà di più la qualità. Ma, per rimanete competitivi, sarà necessario che il gruppo di Simone Inzaghi mantenga la ferocia mentale della scorsa stagione.
Intanto Marotta e Ausilio stanno per regalare al tecnico Joaquin Correa, “El Tucu”, chiamato a rinforzare il reparto offensivo. Inzaghi, che se lo è goduto alla Lazio, lo vuole, la dirigenza accontenta. Bene così. Il campionato è appena iniziato, ma ora la sfida si fa gustosa. Sicuri che sarà così facile scucire lo scudetto dalle maglie dell'Inter?
Antonio Conte, dopo Hakimi, la squadra laureatasi campione d'Italia cedeva anche il suo Totem. Big Rom, il re di Milano, il giocatore-tifoso che strombazzava in macchina in mezzo al popolo della Beneamata per festeggiare lo scudetto arrivato sulla sponda nobile del Naviglio, dopo ben undici anni di logorante attesa. Benservito anche a Lele Oriali, “sollevato dall'incarico”. Una vita da mediano e una vita a onorare l'Inter, prima da giocatore e poi da
dirigente, cancellata da un freddo comunicato che non c'entra nulla con la
storia del club, costellata da emozioni e sentimento.
A prescindere dalle decisioni che una società ha il diritto di assumere. Ma all'Inter, anche la forma ha ancora un significato per la la sua gente. Deve ancora averlo. Via i più forti, i più vincenti, perchè a Nanchino i conti non tornano da un pezzo e il calcio non appare più un asset strategico per la proprietà cinese. Sembrava l'inizio della fine con il povero Simone Inzaghi subito messo a dura prova dopo i sorrisi che avevano accompagnato la sua firma su un contratto che doveva rappresentare una svolta importante della sua carriera da allenatore dopo cinque anni molto belli alla Lazio, dove però è più difficile raggiungere la vetta. Per fortuna nel calcio esiste il campo che dice la verità sull'operato di una dirigenza. E all'Inter, la dirigenza, non la proprietà, ha continuato ad operare da campioni d'Italia con gli acquisti che sappiamo, pur con un budget ridotto all'osso, nonostante i milioni incassati dalla cessione di Lukaku.
Già nelle amichevoli precampionato si era visto come questa Inter avesse qualcosa
di interessante da proporre, gol e vittorie hanno scandito la marcia di avvicinamento alla prima di serie A. Ma, giustamente, non vi è stata enfasi per gare giocate senza la tensione dei tre punti. Ma poi è arrivato, finalmente, il momento tanto atteso e da molti tifosi, temuto. Sabato 21 agosto il Meazza ha riaperto a metà per la prima di campionato contro il Genoa. Si sono presentati all'appuntamento poco meno di trentamila anime, provenienti da tutta Italia. Presente anche la Curva Nord, con i suoi striscioni, le sue bandiere, i suoi tamburi, i suoi cori. Fischio di inizio e dopo pochi minuti le ansie e le preoccupazioni si sono trasformate in piacere fisico per ciò che il campo, giudice supremo, stesse mostrando. L'Inter di Inzaghi, Dzeko, Calhanoglu e dello zoccolo duro campione d'Italia, ha iniziato a dare spettacolo piazzando alla fine del match un poker servito che ha strappato applausi a scene aperta.
La quiete dopo la tempesta. Sono bastati ventitrè minuti a Simone Inzaghi per ricevere il coro che scandiva il suo nome. Lui ha risposto salutando la Curva a più riprese, mentre con lo sguardo continuava a seguire i suoi ragazzi che nascondevano il pallone ad un Genoa in grande difficoltà. Vietato esaltarsi dopo una sola partita, ma quanto visto sabato scorso a San Siro fa bene al cuore e alla mente di chi tifi nerazzurro. Ciò che ha colpito maggiormente è stata la qualità del gioco espresso, la facilità di inserimento dei nuovi Dzeko e dell'ex milanista Calhanoglu, entrambi a segno con gol di pregevole fattura, come si diceva una volta. Sono bastati dunque novanta minuti più recupero in casa Inter per passare dalla depressione alla serenità e alla voglia di rivedere all'opera la squadra, che venerdì sera si esibirà nell'arena calcistica di Verona, chiamata Bentegodi. Per fare bene anche in terra veneta servirà la stessa serenità mentale mostrata contro il Genoa.
Senza fare paragoni con il recente passato. Antonio Conte, a mio avviso, è stato l'artefice principale del ritorno al successo. Lukaku, come Hakimi, Barella e tutti gli altri, sono stati il suo braccio “armato”. Quella squadra ha vinto e solo i prevenuti a prescindere possono ora dimenticare. Certo, si volta pagina, magari si inseguirà di più la qualità. Ma, per rimanete competitivi, sarà necessario che il gruppo di Simone Inzaghi mantenga la ferocia mentale della scorsa stagione.
Intanto Marotta e Ausilio stanno per regalare al tecnico Joaquin Correa, “El Tucu”, chiamato a rinforzare il reparto offensivo. Inzaghi, che se lo è goduto alla Lazio, lo vuole, la dirigenza accontenta. Bene così. Il campionato è appena iniziato, ma ora la sfida si fa gustosa. Sicuri che sarà così facile scucire lo scudetto dalle maglie dell'Inter?
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