Massimo&Erick, missione anti-crisi. E viene da dire: c’era da augurarselo. Perché francamente, dopo la sconfitta di Udine in Coppa Italia, venti di burrasca hanno cominciato a soffiare su Appiano Gentile. Fuori dall’unico obiettivo plausibile a tre turni dall’atto finale, una cosa che non accadeva dal 2002 con Hector Cuper; una dimostrazione di non-gioco a tratti disarmante; una società che sembra confusa e distante e che soprattutto sul mercato di riparazione continua a non avere un briciolo di idea chiara. Francamente, si è detto e sentito di tutto di più, ed è per questo che, in maniera opportuna, hanno deciso di intervenire, ognuno nella maniera a loro più congeniale, i due presidenti, quello ufficiale e quello onorario: volenti o nolenti, è il fatto principale del week-end che ha preceduto l’anomalo lunedì di campionato che questa sera vedrà l’Inter affrontare il Chievo.

Ha iniziato, fisicamente, Massimo Moratti, che nel momento più delicato ha deciso di ripristinare una vecchia abitudine che sembrava ormai accantonata dopo la cessione del pacchetto di maggioranza dell’Inter: la visita al gruppo in quel di Appiano Gentile. Accompagnato dal figlio Angelomario, Moratti ha pensato bene di tornare nel centro di allenamento dopo un periodo insolitamente lungo di assenza, allo scopo di far sentire il conforto suo e insieme di tutta la società verso questi ragazzi che stanno attraversando un momento particolarmente critico della stagione. Il rituale è sempre il solito, fatto di saluti, abbracci e sorrisi, ma mai come in questo momento ha assunto un significato ancora più profondo: perché sarà anche vero che Moratti, adesso, si gode più l’Inter da tifoso che da uomo ‘istituzionale’, ma questo non vuole assolutamente dire che la dismissione dell’incarico da presidente lo ha portato a vivere tutto in maniera più distaccata, quasi fredda. Mancheranno le dichiarazioni del giorno post-gara, ma la voglia di stare sempre vicino alla sua squadra, quella mai.

Qualche ora dopo, l’intervento forse ancora più atteso. E’ finito anche lui nel centro del mirino, anche dei tifosi stessi: perché la squadra annaspa e necessita rinforzi anche in maniera urgente, mentre lui, a detta di qualcuno, sin qui ha latitato, soprattutto dal punto di vista degli esborsi economici per rinforzare la squadra. Anche Erick Thohir, alla fine, ha pensato che qui era giusto mettere le cose in chiaro, spiegare quella che è la sua verità. E allora, ecco costruito nel giro di poche ore un ponte tra Milano e Giacarta ed ecco il presidente, in poltrona con backdrop nerazzurro sullo sfondo, mettere i puntini sulle i ai microfoni di Inter Channel (in questa sede saranno commentate solo queste parole, accantonando le dichiarazioni pubblicate in Indonesia a proposito in modo particolare di Fredy Guarin; probabilmente, ci sarà tempo per ritornarci).

Thohir parla parecchio, e soprattutto parla chiaro: parla di una squadra ancora da bilanciare, di giocatori che mancano in alcuni reparti ma che invece ci sono eccome in altri; parla di obiettivi di espansione del brand, uno dei suoi cavalli di battaglia sin dai primi giorni di avvicinamento alla presidenza del club di Corso Vittorio Emanuele. Soprattutto, parla di tempi: indica in 2-3 anni la durata del cammino da compiere per tornare a essere un club di pedigree nazionale e internazionale. Ma per adesso, bisognerà stringere i denti e avere pazienza. Perché Thohir comunque non dimentica l’Inter, anzi da quanto si è capito ha deciso di cambiare la sua tabella di viaggi verso l’Italia fissando un volo verso Milano ogni mese, per avere sempre l’opportunità di toccare con mano progressi e sviluppi della sua politica. Nel frattempo, i contatti coi referenti italiani sono costanti e continui.

Ha parlato come doveva fare, Erick Thohir: parlando soprattutto a chi si aspettava chissà cosa, a chi non capiva che lui non è uno di quelli che arriva a prendere una squadra di calcio e spende caterve di soldi quasi con una gioia sadica, tanti personaggi che hanno gettato fumo negli occhi di molti. Thohir ha fissato da subito l’obiettivo del risanamento del bilancio, impresa che si sta rivelando assai più complicata del previsto specie considerata la prospettiva della seconda annata consecutiva senza la Champions. E che soprattutto richiede tempo; tutto il suo progetto richiede tempo nella realizzazione, nonostante una buona fetta di tifosi non voglia, e sotto certi punti di vista giustamente, rassegnarsi ad annate di grigio anonimato, anche se si sa che le cose che ci piacciono alla lunga fanno ingrassare e allora per tornare in forma un po’ di dieta, a meno che non si sia golosi cronici con tanti saluti alla salute, è necessaria. Ma Thohir ha riassunto la sua richiesta di pazienza in quattro semplici parole: “I’m not Superman”.

Non è Superman, Thohir: non gli si può certo chiedere di poter risolvere con un colpo di bacchetta magica tutti i guai dell’Inter. Occorrerà del tempo, per sanare, per rifondare, per ricostruire l’edificio magari partendo dalle fondamenta. Un pilastro, però, ha garantito di averlo in mente: Walter Mazzarri, da lui definito il tecnico perfetto per questa squadra. Chissà se dopo queste parole il tecnico di San Vincenzo si senta lui un po’ più Superman; magari può cominciare lui, partendo da stasera, a togliere un po’ di kryptonite intorno al pianeta Inter. In attesa che si sciolga quella nella borsa di Thohir...

Sezione: Editoriale / Data: Lun 13 gennaio 2014 alle 00:01
Autore: Christian Liotta
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