“Rubentino”, “Intertriste”, “Bilanista”.

Se lo sfottò fosse solo questo e si riducesse a qualche meme che gira su chat e blog sarebbe persino divertente in fondo.

Ho parlato a lungo con alcuni amici juventini e interisti e gli ho riferito la personale convinzione che lo sfottò oggi non faccia ridere quasi mai. Qualche battuta divertente, certo ma non comprendo cosa faccia ridere nel ripetere da anni la stessa battuta, gli stessi slogan, le stesse accuse.

Non c’è tutto quel clima simpatico che mi viene decantato “dai, se si resta nel confine della battuta è divertente…”.

Quando i tifosi non si affrontano di persona forse ma non è così sui social, in cui esplode invece una ferocia vigliacca di persone che hanno bisogno di eruttare un odio esagerato, parandosi dietro un nickname e il colore del proprio club ma reclamando dal basso della loro angolazione già condizionata, un obbiettività che non sanno riconoscere se non nel complimento alla propria squadra.
I tifosi della Juventus non credono a Calciopoli, a distanza di quasi 15 anni per loro è stata solo un ingiustizia e gli scudetti sono stati vinti tutti onestamente. Al contrario ritengono l’Inter che l’Inter sia stata la grande burattinaia di un sistema che le ha permesso di non retrocedere, prendendosi scudetti non suoi. Per molti di loro Moggi è una vittima, nonostante le sentenze e l’Inter solo un club da disprezzare.

Non c’è niente di sportivo in questo assunto e somiglia più alla rivalità tra Real e Barcellona, dominata da serissime questioni politiche, che alla sana competizione che ogni tanto ci viene svenduta.

I tifosi bianconeri sostengono convintamente che tutti siano solo invidiosi e che tutti attacchino la Juve senza motivo.

È importante saperlo perché credono ciecamente in una serie di postulati che mostrano come la verità delle cose sia un abito su misura, il quale viene preparato proprio da chi dovrebbe contribuire a mantenere un clima più civile di questo.

La questione della rivalità divenuta “odio sportivo” con la Juventus e in generale in tutto il mondo del calcio, ha sfondato il confine del linguaggio tifoideo ed è stato sdoganato dai protagonisti del calcio.
Oggi per vendere qualche copia in più Chiellini può sputtanare un ex compagno di squadra (Balotelli) e parlare male di un altro (Felipe Melo), sapendo che già non godono di una buona fama e ottenendo il consenso della propria tifoseria.

Se poi aggiungi che odi “sportivamente” l’Inter, dal punto di vista del marketing hai centrato lo scopo.

La differenza è che Chiellini ha potuto fare queste dichiarazioni senza alcun biasimo, se non da chi ha ricevuto l’offesa. Si è lasciato che arrivassero le inevitabili reazioni dei diretti interessati e gli sono state fatte interviste acritiche.

Chiellini è il capitano della Juventus, della Nazionale, è attualmente in attività e non è un ignorante ma è un laureato che dovrebbe conoscere molto bene le responsabilità che ha un personaggio pubblico.

Il problema di Chiellini, come di Agnelli, quando mette un like sotto il commento di un tizio che sostiene di non volere lo scudetto perché “non siamo come l’Inter” è il contributo, anche piccolo, che danno a questo clima velenoso, probabilmente perché hanno voluto trasformare il loro odio in qualcosa di ancora più produttivo. Hanno massificato questo sentimento e lo hanno reso un prodotto da scaffale, considerando che molti troppi tifosi ragionano a colpi di slogan. Ho letto di molti interisti a cui va bene così, perché odiare è gratis e ricambiano.

Il punto è proprio che questa rivalità nella quale si riconoscono entrambe le tifoserie viene esasperato ancor più di quanto non meriti e non ha niente di divertente e tanto meno sano.

“Il calcio non è più come una volta” è la risposta. Sì, ma è come dire che quando piove si bagna l’asfalto. A questa ovvietà rispondo che le battute velenose venivano fatte con stile da Peppino Prisco, Gianni Agnelli, dal presidente della Roma Dino Viola e altri e quello trasferiva un minimo valore culturale alla propria tifoseria, incluso il rispetto.

All’epoca Gaetano Scirea era il capitano ed un vero signore e si esprimeva con educazione.

Oggi invece persino Gianni Brera o Beppe Viola verrebbero sbertucciati da uno col nickname da battaglia e la battuta acida sempre innescata.

Se i capitani, i giocatori e i presidenti di oggi si esprimono con tweet demenziali, commenti per ottenere consenso e libri provocatori, trasferiscono solo e unicamente odio verso i rivali e un inarrestabile declino della credibilità del calcio, la quale già non è al suo massimo livello, specie da quando vengono usati i social come fionde.
Amala.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 11 maggio 2020 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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