Lo scorso 7 dicembre, la sala conferenze dello stadio Santiago Bernabeu si è trasformata in una specie di lettino dello psicologo per Simone Inzaghi e Carlo Ancelotti. Al termine di Real Madrid-Inter 2-0, i tecnici, a loro agio per i rispettivi obiettivi raggiunti, si sono lasciati andare a un racconto lucido della partita, il 'finale' più giusto al termine di un percorso coerente che ha portato le due squadre a battagliare per il primato del girone di Champions League fino all'ultimo turno. Ne è uscito un incontro a viso aperto, tra sfidanti accomunate da un'identità di gioco ben riconoscibile ma per forza di cose diverse per le caratteristiche dei loro interpreti. I blancos, Carletto dixit, hanno la qualità per competere per la vittoria della Coppa, ma non hanno in mano l'assicurazione sul trionfo, al pari di ogni partecipante che evita di dichiararsi favorita vista l'imprevedibilità di una competizione che un certo Mourinho definì 'dei dettagli'. Anche se l'ex tecnico del Milan un distinguo lo ha fatto parlando, pur senza citarli, di Bayern Monaco e Liverpool: "Ci sono squadre più intense, mentre noi non lo siamo soprattutto sotto l'aspetto difensivo, non possiamo difendere in campo aperto, ma abbiamo tanta qualità e tanta esperienza". Tradotto: possiamo contare sulla santa trinità del centrocampo Modric-Casemiro-Kroos che predilige il palleggio al pressing feroce a tutto campo. La fase passiva è più efficace quando la linea difensiva si abbassa e i reparti sono stretti, per intercettare i passaggi degli avversari. Fondamentale per la riconquista della palla e l'innesco di Vinicius, letale in ripartenza: "Sarei un idiota se con un attaccante come Vinicius, che ha un motorino sotto i piedi, non puntassi sul contropiede", ha detto Ancelotti al Corsport il mese scorso. Un modo come un altro per affermare che, visti i tempi che corrono nel calcio del XXI secolo, non è un peccato mortale se i tredici volte campioni d'Europa cercano di arrivare al risultato pieno lasciando l'iniziativa agli altri. "Qui sono un po' critici, parlano di Real senza possesso... Ma nel calcio vinci se fai gol e non se tieni la palla", ha spiegato l'allenatore della Decima, uno che con il cv che vanta può permettersi di far piacere anche questo tipo di futbol ai tifosi del club più titolato del mondo (con Mbappé e/o Haaland sarà ancora più efficace)
In questo contesto, tornando allo scontro diretto con i nerazzurri, è accettabile persino che i padroni della Liga subiscano 13 tiri verso la propria porta nei primi 45 minuti di gioco, come non succedeva dal 2003/04. E' il rischio che si corre quando non si aggredisce alto un avversario che non ha paura di riempire la metà campo opposta facendo salire i propri difensori. Questa è l'Inter di Inzaghi, la versione 4.0 europea dopo quelle di Spalletti e Conte. La migliore per produzione offensiva: 117 i tiri totali effettuati in campo continentale, dato che supera quelli registrati da Real, City e Bayern Monaco. Questione di avversari (Sheriff e Shakhtar non sono corazzate) ma soprattutto di atteggiamento e autostima che solo il titolo di campione d'Italia poteva dare a giocatori forti ma fino all'anno scorso non ancora affermati. Il coraggio contiano di giocare palla dal portiere per aprire il campo a Lukaku e Hakimi si è tramutato nella lucida follia di palleggiare a 80 metri dalla porta con Bastoni e Skriniar sulla linea degli attaccanti. E' la tecnica in velocità che ha spostato il suo raggio d'azione in avanti, portando i suoi dividendi in termini di risultati: dall'esilio europeo dopo uno scialbo 0-0 casalingo con lo Shakhtar in un raggruppamento da una vittoria in sei partite, si è passati un anno dopo al rammarico di non aver portato a casa l'intera posta in palio dal fortino madridista. Gli ottavi di finale sono un nuovo status non solo formale raggiunto da Dzeko e compagni, ma sono la traduzione di uno standard di gioco nuovo, più internazionale, quindi più appropriato a certi palcoscenici.
E' tutta questione di adattamento, l'arma migliore in un calcio che negli ultimi 10-15 anni sta evolvendo sempre più velocemente. Per questo ripetersi a livello di successi ogni stagione è diventato sempre più difficile, soprattutto passando da underdog a favoriti di rito. E' il caso dell'Inter che, orfana di Conte, si è dovuta arrangiare ripensandosi diversa, più libera, non confinata in uno schematismo troppo rigido nell'applicazione maniacale dei suoi codici. La transizione tecnico-tattica è stata 'agevolata', sembra un paradosso' ma non lo è, dalla cessione non preventivata di Big Rom, giocatore che creava dipendenza nell'economia del gioco prediletto dall'attuale manager del Tottenham. Che, fatto un passo indietro non appena è cambiato il progetto Zhang, ha preferito prendersi una brevissima pausa di riflessione prima di accettare per la prima volta in carriera una panchina a stagione in corso. Assumendo la guida di quegli Spurs che la scorsa estate non gli davano gli stimoli giusti per colpa del coinvolgimento emotivo che gli aveva provocato la separazione della Beneamata. Un trauma che entrambi i pazienti hanno comunque superato brillantemente, almeno vedendo i risultati fatti registrare al giro di boa: l'Inter è platonicamente campione d'inverno e King Antonio a Londra è diventato subito recordman come primo manager della storia del club a infilare sette risultati utili consecutivi in campionato. E' nel modo di stupire gli scettici che l'Inter e Conte rimangono ancora legati da un invisibile cordone ombelicale: "La continuità dell'Inter fa piacere perché stanno continuando in maniera egregia un lavoro, c'è solo da complimentarsi. L'Inter ha posto le basi per creare qualcosa di importante, per stare lì per tanti anni. Tocca agli altri inseguire”, ha fatto presente il tecnico salentino a Sky Sport a margine del netto 3-0 rifilato al Crystal Palace nel Boxing Day. Una dichiarazione che ha due significati neanche tanto nascosti: il primo, non nuovo, rimanda alla rivendicazione dei suoi tanti meriti, il secondo al fatto che la squadra abbia la responsabilità di capitalizzare il suo lascito anche se il mercato è stato all'insegna del ridimensionamento.
E qui entra in gioco l'abilità di Inzaghi di saper erigere il famoso grattacielo che Allegri alla Juve seppe portare all'ottavo piano dopo il triennio Conte. L'architetto Simone l'ha capito quasi subito: inutile abbellire le fondamenta gettate dal suo predecessore, la missione è portare l'Inter più su. E non solo metaforicamente, anche in campo. E come? Con la costruzione dall'alto. Una tecnica, già in uso in Italia contro le squadre medio-piccole, che si è vista anche contro una grande come il Real Madrid lo scorso 7 dicembre. La notte in cui è nata una nuova Inter, sulle ceneri di quella concepita nel 2019 per ribaltare i pronostici partendo dal basso.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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