Inter favorita per lo scudetto, ormai non si fa che leggere in giro questa convinzione tra gli addetti ai lavori ed esperti interpellati in questi giorni. Viene da chiedersi, di conseguenza, come mai dopo un'estate di mercato sulle montagne russe, l'uscita di scena di pezzi da novanta Romelu Lukaku, Edin Dzeko, André Onana e Marcelo Brozovic e l'arrivo di giovani promettenti, scommesse affascinanti o elementi un po' in là con gli anni (l'unico vero top è Benji l'interista), sia maturata questa tendenza a vedere il nerazzurro davanti alle altre. Eppure il Napoli ha cambiato poco dopo un tricolore stravinto, il Milan si è rinfrescato e ha aggiunto qualità ed esuberanza e la Juventus non ha partite fastidiose nel mezzo della settimana. Perché, dunque, l'Inter sarebbe la favorita?
La sensazione è che al netto di un mercato che solo con l'acquisto di Pavard ha acquisito diversi punti sulla scala del gradimento a diffondere questo messaggio sia stato banalmente il campo. Che è il fine ultimo del mercato, in tutta onestà. Tre partite prima della sosta hanno accantonato le perplessità estive riportando alla mente il valore della squadra e delle idee di Simone Inzaghi, rimaste immutate nonostante la rivoluzione estiva. Monza, Cagliari e Fiorentina hanno potuto verificare a loro spese che, nonostante 13 volti nuovi, i nerazzurri continuano a praticare lo stesso calcio effervescente, piacevole, a tratti divertente a cui è stata aggiunta solidità difensiva. L'Inter degli ultimi due mesi della scorsa stagione è tornata a bussare alla porta di quella attuale, merito del lavoro di un allenatore che è riuscito a imporre la sua mano a prescindere dai giocatori a propria disposizione. Il non plus ultra per un tecnico. Il motivo più logico per cui gli è stato offerto il rinnovo, cosa buona e giusta.
A certificare la bontà dell'operato di allenatore e staff tecnico, bravissimi nel valorizzare il materiale umano che la dirigenza, con lavoro certosino, ha portato sui terreni di gioco della Pinetina, è la valutazione di un tecnico che quando parla bisogna semplicemente rimanere zitti ad ascoltare: Claudio Ranieri. Sir, Claudio Ranieri. Dopo la sconfitta del suo Cagliari alla Unipol Domus Arena, l'artefice del miracolo Leicester (e di molti altri che gli andrebbero riconosciuti) si è così espresso sui nerazzurri: "Hanno memorizzato tutto alla perfezione. Noi conoscevamo i loro movimenti ma non siamo riusciti a fermarli. Non posso dire nulla ai miei giocatori, quando hai davanti una squadra più forte della tua bisogna saperlo riconoscere". Parole di encomio che probabilmente anche Raffaele Palladino e Vincenzo Italiano, le altre due 'vittime' dell'Inter, sottoscriverebbero. L'avversario sa cosa farai in campo e tu lo fai comunque, con successo. Se questo no è sinonimo di superiorità, poco ci manca. Ed è la conseguenza di tanto lavoro sul campo, ma anche della forza delle idee, ma non filosofia teorica bensì pura concretezza. Ovviamente sulle prestazioni della squadra incidono anche quelle dei singoli, ma non può essere un caso che nonostante più di un volto nuovo il motore continui a girare nel verso giusto. E contro la Fiorentina lo si è sentito rombare a chilometri di distanza dal Meazza.
Tre giornate di campionato ovviamente sono troppo poche per esprimere giudizi, per quanto la tendenza sia già assegnare etichette. Lo Scudetto non sarà necessariamente un discorso tra le milanesi, c'è ancora troppa strada da percorrere e arriverà per tutti il momento 'no' da cui bisognerà uscire con meno danni collaterali possibili. Ma non ci si può trincerare dietro la scaramanzia davanti all'impatto avuto finora dall'Inter riemersa dalla delusione di Istanbul e dalla lunga estate calda di mercato. Un po' di sano e genuino ottimismo non ha mai fatto male a nessuno.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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