L’Inter ha vinto, viva l’Inter.
La prestazione con il Cagliari ha mostrato tutti i limiti e le potenzialità del gioco nerazzurro dell'era Conte.
Dopo l'eliminazione e l'umiliante ultimo posto nel girone di Champions, le polemiche si sono concentrate sul tecnico e il suo inadeguato atteggiamento di fine partita, portando la sua reputazione ai minimi storici da quando è sulla panchina dell'Inter. Giorni difficili durante i quali molti tifosi hanno preso le distanze dalla guida tecnica, concentrandosi sullo scudetto, unica soluzione che potrebbe ristabilire l'armonia persa da mesi.
L’Inter ha tutto per vincere il titolo ma c’è qualcosa di inesploso, che fatica ad emergere e porta la squadra a non capitalizzare ciò che costruisce, a giocare due, a volte tre partite nei novanta minuti, dilaniandosi nella ricerca delle proprie attitudini e senza la serenità necessaria, a prescindere dal risultato.
La partita col Cagliari è stata un condensato di contraddizioni, tra un gioco spumeggiante e dominante nei primi venti minuti, le amnesie e la mancanza di lucidità negli ultimi cinque del primo tempo, l'impotenza di buona parte del secondo tempo infine la rimonta compiuta a forza, grazie a circostanze sulla cui genesi non si riesce ad andare d'accordo, così come sui meriti dell'allenatore e la prestazione di Eriksen, argomenti ormai condizionati da preconcetti e caratterizzati da valutazioni animose, prive di oggettività.
Eriksen, si è trovato ad essere messo in campo per disperazione, unico tra tutti a ricevere le urla di Conte che quando ha iniziato a teleguidarlo da metà del primo tempo, ha iniziato paradossalmente a uscire dalla visione dei compagni. Era meglio insomma giocasse come si sentiva.
Prima di quel momento il danese è stato protagonista di alcune giocate di livello in tutte le occasioni in cui la squadra lo ha cercato, non ha perso un solo pallone e ha servito a Lukaku una palla d’oro fallita dall’attaccante e sulla cui ribattuta ha potuto tirare con uno spicchio di porta coperto da tre avversari.
Quando è stato sostituito, dopo Perisic (presente nel gioco ma mai lucido) si era in una fase della gara in cui tutta l’Inter stava giocando senza idee e senza ritmo. Quando è entrato Sensi non è cambiato niente per altri dieci minuti, il gioco è rimasto stagnante, in attesa di uno spunto, un’idea.
L’idea è arrivata dalla panchina, quando Conte ha deciso di passare a quattro, togliendo Bastoni e inserendo Lautaro e da quel momento l’Inter è tornata ad essere pericolosa come nel primo tempo, quando Cragno si è esibito in un repertorio di parate che sembravano prese da uno di quei teaser su youtube, quando viene mostrato il meglio di un giocatore.
Sarà anche la disperazione ma questa c’era anche mercoledì, quando l’Inter, restando a tre fino alla fine non riusciva a sbloccare contro lo Shakhtar. Giocando a quattro dietro, oltre che più offensivo, il gioco è diventato più imprevedibile e ne hanno beneficiato tutti. Prima è arrivato il pareggio di Barella, poi il raddoppio di D’Ambrosio, entrato perché Hakimi si era fatto male.
Lukaku poi l’ha chiusa dopo che Cragno gli aveva parato l’ennesimo tiro in porta e Cerri aveva fatto paura poco prima alla difesa nerazzurra.
L’Inter giocando a tre corre generosamente ma tende a perdere lucidità al momento di concludere. Lukaku si sbatte e fa a sportellate, Sanchez è uomo ovunque ma a volte sovrapponendosi ai centrocampisti. Il lavoro di costruzione è ottimo ma se non si riesce a segnare gli avversari prendono le contromisure e se fanno gol alla prima occasione è proprio per una temporanea assenza di brillantezza, quella che per poco stava per portare i sardi raddoppio in chiusura di prima frazione. L’Inter ha sempre diverse occasioni in tutte le partite ma se manca qualcosa sotto porta lo si deve anche a questo aspetto,
Nota a margine. Diversi tifosi che intimano di remare dalla stessa parte e se la prendono con chi discute Conte, sono gli stessi che massacrano Handanovic, Perisic o ironizzano su Eriksen. Giusto per capire quale clima si respiri intorno ad un club che vive di lacerazioni, anche tra gli stessi tifosi.
L'uscita dalla Champions è un danno grave per l'aspetto economico, del ranking e dell'immagine e raramente si è percepita una tifoseria furente all'unisono contro un solo uomo.
Eppure, anche se non vi è certezza di scudetto, questo è un anno in cui è possibile vincerlo, per la prima volta dopo dieci anni. Se lo farà sarà perché la sua squadra è in grado di battere i Cagliari, i Sassuolo e i Bologna, magari continuando a perdere e pareggiare gli scontri diretti decisivi.
In Europa così esci ma in Italia è sufficiente fare punti e Conte in questo è tra i più bravi.
Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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