"Non penso che l'Inter cambierà molto tatticamente dopo questo mercato, diciamo che il mister ora ha una rosa ampia di qualità e quantità. Spalletti ha tante soluzioni tattiche e tecniche, potrà scegliere di volta in volta".

Il prologo della stagione interista 2018-2019 è andato in onda su DAZN, con Piero Ausilio che ha introdotto a parole un concetto dimenticato negli ultimi anni dalle parti di Appiano Gentile: l'imbarazzo della scelta. Tante vie, almeno due per ruolo senza considerare l'adattabilità di alcuni interpreti a giocare in diverse zolle del campo, per trovare quella giusta contro l'avversario di turno. Una responsabilità nuova per il Lucio milanese, che l'anno scorso - vista la difficoltà di inserimento di Joao Cancelo e Dalbert a inizio stagione – non ha faticato a trovare l'undici titolare da recitare come una filastrocca che lo ha addirittura issato al primo posto della classifica per qualche settimana. Di questi tempi, un anno fa, l'Europa era un continente da guardare semplicemente sulla cartina geografica, al massimo in tv seduti comodi su un divano con la voglia di ritornare protagonisti prossimamente su quegli schermi, in quegli stadi che sono i luoghi di culto dove si fa la storia del Gioco.

Dallo scorso 20 maggio, dalla notte dell'Olimpico in cui Vecino puntò il telescopio invitando i compagni a riveder le stelle, il 'doppio impegno' è rientrato di diritto nel vocabolario della Beneamata, in questo caso non per partecipare svogliatamente alla bistrattata Europa League, ma per ricollocare il nome dell'Inter sul palcoscenico prestigioso della Champions. Onori ed oneri che hanno obbligato la squadra mercato nerazzurra a progettare un'Inter al quadrato, due squadre teoricamente interscambiabili per sostenere il carico di una stagione composta su per giù da 50 partite. E da qui deve nascere una riflessione sulla bontà del lavoro fatto in sede di campagna rafforzamento. Posto che il numero di partite aumenta matematicamente, va anche detto che il peso specifico delle stesse è ampiamente più alto rispetto al 2017-2018: se l'impegno continentale metterà di fronte a Icardi e compagni un girone potenzialmente della morte, il campionato impone il solito obbligo di entrare nella top 4 proprio per non bloccare la crescita del club alla voce ricavi sportivi.

Messi da parte i discorsi sull'anti-Juve et similia, la vera domanda rimane inevasa: questa Inter è più forte di quella dello scorso anno? Persi Rafinha e Cancelo, che comunque non erano di proprietà del club, e senza addentrarsi nelle sterili polemiche sul cosa bisognasse fare o non fare non tenendo conto del contesto temporale in cui sono arrivate queste rinunce, la domanda è incompleta perché non tiene conto del nuovo scenario che si è ormai aperto davanti all'Inter. A livello di organico, le alternative sono quantitativamente e qualitativamente migliori, negarlo sarebbe una mossa pretestuosa per criticare a prescindere. Ma liquidare la faccenda adducendo che il gruppo è più competitivo dello scorso anno è altrettanto semplicistico. Nello specifico, sono molteplici le situazioni che concorrono al raggiungimento di un obiettivo, e il fatto di avere più risorse umane è sicuramente la condizione necessaria ma non per forza sufficiente per provare a tornare protagonisti su due fronti. In soldoni: chi dei nuovi presi in estate, è da considerare realmente un titolare inamovibile senza alcun tipo di discussione? Il livello dell'undici di base, con l'identità che si portava dietro dopo una cavalcata finita con il quarto posto all'ultimo respiro della scorsa annata, può alzarsi con l'inserimento di Radja Nainggolan (quando tornerà disponibile), molto probabilmente con quello di Keita in luogo di Candreva, verosimilmente con l'assegnazione definitiva ad Asamoah del compito di quarto di difesa a sinistra. Il resto? De Vrij è un titolare nella logica di una squadra che gioca ogni tre giorni, ma non è detto che scalzi Miranda dal ruolo di proprietario legittimo di secondo violino al fianco dell'inamovibile Milan Skriniar. Matteo Politano, mancino naturale, offre soluzioni che gli altri esterni in rosa non possono dare, ma nessuno può sbilanciarsi nel dire che sia già pronto per vestire i panni dell'attore principale di un film in cui l'Inter si dichiara protagonista. Lautaro Martinez, centravanti moderno, ha caratteristiche diverse da Icardi, lo ha detto chiaro anche Ausilio, e di certo non può essere il surrogato del Ninja alle spalle del connazionale in partite in cui serve anche sacrificare qualcosa sull'altare dell'equilibrio. Sime Vrsaljko, infine, è stato acquistato non certo per fare gregario di Danilo D'Ambrosio, giocatore talmente duttile che può riciclarsi anche a sinistra all'evenienza. Giusto per dare respiro ad Asamoah aspettando che Dalbert dia segni di vita.

Ebbene, prese in esame queste considerazioni tecniche e tattiche - al netto delle condizioni fisiche post-Mondiale e degli infortuni che stanno frenando la ricerca - Luciano Spalletti deve costruire prima di subito il blocco più affidabile di giocatori ai quali dare la patente di prime scelte, per poi disegnare delle gerarchie precise utili ad evitare confusioni nelle scelte finali di formazione (il turnover sarà strumento determinante). In poche parole, il tecnico di Certaldo deve costruire la nuova Inter evitando che il famoso imbarazzo della scelta suddetto possa portare in seno alla rosa l'anti-Inter. Un conflitto identitario necessario solo a inizio stagione, ma che deve essere risolto in tempi stretti. Per evitare di trovarsi il nemico in casa, oltre che fuori dalle mura di San Siro.

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 23 agosto 2018 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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