"Kondogbia è come Pogba". La decontestualizzazione scientifica di questa dichiarazione, estrapolata da un ragionamento più lungo fatto da Frank de Boer in un italiano ancora imperfetto, ha contribuito ad alimentare lo stucchevole giochino che sembrava essere andato in soffitta del paragone improponibile tra il centrocampista dell'Inter e quello del Manchester United.
Diradiamo subito le nubi: Il concetto che voleva far passare il tecnico olandese con le parole pronunciate dalla prestigiosa cornice del Fairmont Hotel di Montecarlo, nella seconda giornata del Golden Foot, è più da vedere in termini assolutistici riferiti all'ex Monaco che di raffronto con Pogboom: perché, se FdB afferma che sono giocatori che 'hanno medesima fisicità e giocano nello stesso ruolo' non dice un'eresia. Lo stesso dicasi per quando asserisce che Geoffrey diventerà un top player solo 'quando capirà cosa deve cambiare, dal vincere i duelli, al giocare semplice, passando per far bene le transizioni offensive'.
La comparazione tra i due, quindi, regge benissimo se letta in questa chiave: gli ex gemellini campioni del mondo con la Nazionale francese Under 20 devono imparare a far meglio le cose più utili per la squadra rispetto agli effetti speciali buoni solo per gli occhi degli spettatori più disattenti. E allora, senza dare troppo credito alle sproporzionate valutazioni che si leggono sui giornali e sui contratti da loro sottoscritti, i due devono comprendere lo loro vera missione nel rettangolo verde: prima la quantità, poi la qualità. Sembra il claim sbagliato di uno spot pubblicitario, ma in realtà è il motivo per il quale Kondo ha subito la gogna pubblica della sostituzione con il 'facilitatore' Gnoukouri al 28' del primo tempo del match contro il Bologna. Non solo, nel post-partita De Boer aveva pronunciato anche una reprimenda durissima nei confronti del suo mediano: “Quando un giocatore non vuole capire... Questa mattina abbiamo parlato, ma se lui non mi vuole sentire... Non è la prima volta che parliamo con lui di questo". E poi ancora con la lezione di tattica in diretta nazionale: “Lui deve sapere quando gestire la palla e quando prendere iniziative. Spalle alla porta si deve giocare con semplicità, purtroppo ripete spesso gli stessi errori: non si può accettare da nessuno".
A 17 giorni di distanza, la situazione sembra essersi capovolta, ma solo per i più sbadati: il giudizio dell'allenatore di Hoorn sul francese, infatti, non si è modificato in alcun modo, semmai sono cambiati il contesto e il tono. La lezione che si può ricavare da queste discussioni in realtà ci è già stata lasciata in eredità da Johann Cruyff, che era solito dire: "Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile".
Ecco, questa frase dovrebbe essere affissa sulla porta d'ingresso di ogni spogliatoio del mondo, e il classe '93 di Nemours dovrebbe cominciare a scendere in campo imparando a rispettare questa regolare aurea. Per il resto, pare che il ragazzo sia ben cosciente degli alti e bassi a cui andrà incontro per tutta la carriera: "Mi chiamano top e poi flop, ci sono abituato",  aveva confessato in un'intervista di qualche mese fa all'Equipe.
Io mi permetto di dire la mia, anche basandomi su due dati statistici nei quali il francesino arrivato dal Principato di Monaco si è elevato rispetto a tutti i suoi compagni nella passata stagione, ovverosia quello dei contrasti vinti e quello dei dribbling riusciti. Due numeri che, assieme a quello dei palloni recuperati, circostanziano meglio di qualsiasi altro discorso l'equivoco tecnico per il quale si è portati a considerarlo una mezzala tecnica anziché un mediano moderno. Insomma, né top né flop, ma semplice incontrista che quando si limiterà a svolgere il suo lavoro diventerà uno tra i migliori interpreti del mondo in quel ruolo.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 14 ottobre 2016 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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