Che San Siro sia un teatro per palati fini è arcinoto. Che la tifoseria interista sia tra le più appassionate d'Italia anche. Così come è altrettanto risaputo che non passa anno senza che i supporter nerazzurri trovino uno o più giocatori sui quali sfogare la propria rabbia recondita. È successo in passato e succederà in futuro: la gogna del Meazza non salva nessuno, dallo scarpone alla stella più lucente. Dopo aver riabilitato Ranocchia ed essersi liberati di Nagatomo e Joao Mario, al momento sono in tre a contendersi lo scettro del più fischiato: Candreva, Perisic e Brozovic. In particolare, sono questi ultimi due ad esser finiti all'indice del pubblico di fede interista nell'ultima fetta di stagione. Sarà per la desinenza finale, sarà per un atteggiamento che dà l'idea d'insofferenza, sarà per i risultati che non arrivano: la morale è che ai due croati – e soprattutto a Marcelo – non gliene viene fatta passare una.

Diciamoci la verità: non è che i due brillino per leccaculaggine, anzi. Schivi, poco inclini alle copertine, zero diplomazia. Un comportamento che non paga, soprattutto in un mondo social come quello di oggi, nel quale anche una foto in piscina viene vista come "oltraggio alla maglia" se scattata e pubblicata poche ore dopo una sconfitta. E se Perisic in qualche modo ha riportato dalla sua parte i tifosi giocando col dolore a una spalla nel secondo tempo contro il Bologna, Brozovic ha decisamente provocato una spaccatura rispondendo ai fischi con un applauso ironico. Giusto fischiare un proprio giocatore? Funzionale al risultato di squadra? Siamo certi che a prevalere, in quegli attimi, sia la 'pancia' di chi guarda uno spettacolo poco gradito.

Senza entrare nel merito, è utile invece capire che Spalletti è tutto fuorché autolesionista. E se fin qui ha continuato a mandare in campo tutti quelli affetti dalla sindrome post-Chievo (quella, per intenderci, che ha attaccato con violenza l'organismo interista, producendo anticorpi verso l'acquisizione dei tre punti), vuol dire che di meglio non aveva.

Joao Mario era ormai un corpo estraneo, Gagliardini continua a essere un oggetto misterioso, Rafinha è a corto di condizione e Karamoh deve crescere. Ma qualcosa sta cambiando se è vero che Candreva si è accomodato in panchina lasciando spazio al giovane francese e se l'ex Barça è risultato decisivo dopo il suo ingresso in campo. Ma ci vuole pazienza, perché rivoluzionare totalmente sarebbe rischioso. E l'Inter ha ancora tantissimo da perdere.

Rimane innegabile l'apporto positivo portato da quelli liberi dalla sindrome. Aria fresca, nuova linfa, idee originali, addio appiattimento. L'Inter era diventata monotona, in grado di leggere sempre e solo uno spartito. Ripetitiva, prevedibile, noiosa. Talvolta angosciante. Una sterzata era necessaria, anche a costo di qualche azzardo. Spalletti ha azzardato quanto poteva, schierando subito Karamoh e inserendo il prima possibile Rafinha. Anche il ritorno di Cancelo e l'innesto di Lisandro Lopez invece di Ranocchia, forse, vanno visti in quest'ottica.

L'Inter è in convalescenza, i valori sono in rialzo, serve monitorare partita dopo partita. Presto per definirla guarita, ma la cura è stata individuata. Evitare una recidiva.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 13 febbraio 2018 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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