"Già a inizio stagione avevo detto che questa era il proseguimento della scorsa. Siamo cresciuti come squadra, spogliatoio, presenza, fase tattica. Stiamo facendo la differenza, ma sappiamo che ogni gara è difficile. Abbiamo cambiato metà squadra ma facciamo vedere che siamo sempre sereni e abbiamo dato una grande mano ai nuovi”.

Basterebbe questa riflessione fatta da Henrikh Mkhitaryan dopo Inter-Frosinone 2-0 per capire che sono stati buttati due mesi durante l’estate per capire se la squadra a disposizione di Simone Inzaghi al 2 settembre fosse più o meno forte di quella arrivata a novanta minuti dal vincere la Champions League e a 18 punti dalla seconda stella. Presi tutti a commentare un calciomercato che regalava un colpo di scena a settimana, nel bene e nel male, in pochi hanno alzato il ditino per far notare che ci sono valori intangibili che non si possono comprare in sede di trattativa con altri club. Raramente qualcuno ha parlato della continuità in panchina, con lo stesso tecnico in sella per il terzo anno consecutivo, ancor meno si è fatto notare quanta eredità lasci a livello di consapevolezza combattere ad armi pari con il Manchester City campione di tutto. Certo, in campo quella sera del 10 giugno, a Istanbul, c’erano giocatori che oggi non frequentano più Appiano Gentile come André Onana, Marcelo Brozovic ed Edin Dzeko. Ma oggi tutti questi tre top player sono dimenticati, come già Milan Skriniar nel corso dei mesi vissuti da separato in casa mentre gli altri si facevano il mazzo dando qualcosa in più per sopperire alla sua assenza, anche prevedendo come sarebbe andata a giugno. Stesso discorso per Brozo, la cui assenza per infortunio ha permesso di scoprire le abilità di Hakan Calhanoglu nel ruolo di playmaker, qualità così evidenti da arrivare a ereditare naturalmente il volante dal croato, volato all'Al-Nassr. Infine c’è Edin Dzeko, il 'sacrificato' per far posto a quel Romelu Lukaku che in realtà nello spogliatoio nerazzurro non ci ha più mai messo piede. A posteriori, una scelta benedetta, anche se per la cronaca si è trattata di una reazione al gran rifiuto del suddetto, che ha spalancato le porte alla crescita esponenziale di Marcus Thuram, la vera differenza del mercato o, se preferite, il ponte perfetto tra l’Inter che era e che è. Il francese, ora nove indiscusso, chissà che ruolo avrebbe avuto in rosa vivendo all’ombra dell’ingombrante Big Rom, per sua natura accentratore. Con il belga nel roster, forse la leadership di Lautaro Martinez, già riconosciuta dai compagni, non sarebbe esplosa così come in questi ultimi mesi.

Insomma, a ben vedere, il lavoro di sottrazione dei dirigenti, voluto o casuale decidete voi, è stato probabilmente più importante di quello di aggiunta. Detto dell’impatto straordinario di Tikus, dell’autorevolezza con cui Yann Sommer ha coperto in porta il buco lasciato dall’ex numero uno camerunese e del cambio logico a livello di utilità tecnico-economica Gosens-Carlos Augusto, gli altri innesti finora hanno dato un contributo non indispensabile, se non nullo alla causa di una squadra che si trova ai vertici della Serie A dopo dodici giornate di campionato e qualificata agli ottavi di finale di Champions, dove attende di capire se passerà da prima o da seconda del girone.

In questi giorni si sta parlando dell’impatto zero di Juan Cuadrado, frenato da una fastidiosa infiammazione al tendine d’Achille. Tra i desaparecido vengono citati a ragion veduta Davy Klaassen e Stefano Sensi, che in coppia fanno 90’ giocati. Certo, c’è Davide Frattesi, riserva di lusso ma solo tre volte titolare pur dovendo giocarsi il posto con un Nicolò Barella partito col freno a mano tirato rispetto al solito. Le riserve in attacco, anche complice l’infortunio di Marko Arnautovic, hanno portato alla causa fin qui il solo gol di Alexis Sanchez col Salisburgo, numeri che avvalorano la tesi che non si può credere neanche un secondo di poter fare a meno della ThuLa.

Discorso a parte lo merita Benjamin Pavard, il giocatore più pagato per coprire la zona di campo in cui si muove Matteo Darmian, alias il miglior per continuità di rendimento. Non è un caso che, dopo due panchina di fila, il nazionale italiano si sia preso subito la scena quando il francese si è procurato quell’infortunio choc a Bergamo: si è tolto la tuta e gli sono bastati pochi minuti per andare a prendersi il rigore che ha aiutato i compagni a sbloccare l’impasse. Questa è una delle tante lezioni apprese l’anno scorso, quando il gruppo ha capito che tutti sono importanti nell’economica di una stagione fatta di tanti impegni. "Non importa chi gioca, conta solo vincere, Non c'è spazio per l'egoismo perché l'obiettivo finale è troppo grande. Siamo tutti contenti della gestione, riusciamo ad avere minuti e fiducia. Vogliamo continuare così", ha detto Alessandro Bastoni dopo aver vestito la fascia di capitano a Salisburgo.

Ora, a proposito, c’è attesa per i suoi esami dopo che a Coverciano ha accusato un affaticamento muscolare al polpaccio destro. Questa è una ‘sottrazione’ che Inzaghi vorrebbe scongiurare con tutto se stesso a dieci giorni dall’inizio del terribile tour di trasferte dell’Inter, ma, visti i precedenti, non è difficile credere che abbia già pensato a come risolvere l'eventuale problema. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 16 novembre 2023 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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