Quello di Dedalo e Icaro è uno dei miti greci più conosciuti e popolari. Un'allegoria che allerta circa il potere distruttivo dell'arroganza mista ad eccessiva insolenza sintetizzabile in un "non volare troppo vicino al sole" o semplicemente "non dimenticare di essere umile". All'arrogante, insolente e imprudente Icaro si contrappone la figura del padre Dedalo. Silenzioso e paziente, dedito al lavoro e senza mai osare eccessivamente, l'abile fabbro si trascinò in salvo grazie alle sue doti migliori: ingegno prima e umiltà dopo.
Con zelo e pazienza parimenti a quelli dell'inventore del labirinto di Minosse, passo dopo passo, partita dopo partita, Simone Inzaghi ha condotto la sua Inter a spiccare il volo lontano dal labirinto dei disfattismi e dal Minotauro in versione nerazzurra, il mostro con la testa di Conte e i piedi di Lukaku. Niente cera e penne in quel di Appiano, dove l'ex allenatore laziale ha prima tolto tensione a muscoli e psiche dei suoi giocatori, poi trasmesso una pedagogia di calcio più ludica che militare. Divertimento è la parola che più sovviene alla mente pensando al gioco dei nerazzurri che oggi in campo divertono e si divertono. Entusiasmano e si entusiasmano, gioiscono e lasciano gioire. Con una prateria di impegni ancora vastissima e un percorso tutto da scrivere che non permette di piantare ancora bandierina alcuna sul planisfero degli obiettivi (qualificazione agli ottavi esclusa), la bellezza dell'Inter attuale resta comunque dato inconfutabile. Un titolo - per quanto inutile alla bacheca - di campioni d'inverno ad uno schiocco di dita, i meneghini nerazzurri si sono ripresi la credibilità che gli era stata tolta dal mercato in uscita e dalle difficoltà economiche e societarie che l'avevano gettata in pasto ai leoni.
Silenzioso, e paziente, dedito al lavoro e senza mai osare eccessivamente, l'allenatore piacentino ha preso in mano lo scheletro di una squadra faticosamente edificata da Antonio Conte e plasmata col tempo a sua immagine e somiglianza, rendendo ai più - giocatori e tifosi - un prodotto che ad oggi appare persino migliore della versione precedente. Nessun asfissiante e opprimente "il miglior attacco è la difesa", e nessun martellante ermetismo tattico che ne soffoca l'espressività. A prendere il sopravvento è una spumeggiante libertà d'espressione che ha trovato in Calhanoglu l'esecutore qualitativamente perfetto che pigia i tasti di uno strumento orchestrato dal maestro Brozovic, sempre più punto nevralgico di un gioco che stritola gli avversari con eleganza e classe. Ma a far planare questa squadra facendole spiccare il volo verso l'inaudita bellezza sono, come a Creta nel caso di Dedalo, le doti migliori di Simone Inzaghi: ingegno e umiltà, fuse e confuse tra loro. E come Dedalo così Inzaghi, l'invenzione numero uno dell'inventiva inzaghiana sono non per caso le ali.
Se il croato eccelso di questa Inter è finora stato Marcelo Brozovic, la cui importanza sfiora l'inenarrabile, l'altro croato in rosa è l'amico ritrovato di cui ora non si vuole più fare a meno. Sempre più prorompente e sempre più in corsa verso l'imprescindibilità: Ivan Perisic è il protagonista che non t'aspetti. Il plot twist che s'impossessa della trama e ne cambia i connotati. Da esubero dal quale sbarazzarsi a protagonista assoluto nel giro di due stagioni che con Inzaghi ha trovato definitiva consacrazione, raggiungendo un punto altissimo di carriera che si lascia invidiare persino dal Perisic degli scorsi anni, finito a vincere un Triplete con i bavaresi. Architetto delle geometrie interiste e onnipresente uomo in più in quasi ogni punto del campo: corre, dribbla, pressa, si sovrappone, crossa, difende, tira e pure segna, di testa soprattutto, rendendo potenzialmente letale ogni situazione a favore da palla inattiva. Con un rinnovo in ballo del quale non è mai disponibile a rispondere, il vice-campione del mondo, diversamente da quanto accaduto una tantum in passato, non si lascia distrarre come del resto dei complimenti: "Come ti senti a livello personale? Sembra che stai sempre meglio...Quando la squadra gioca così, non è difficile. Devo continuare così come tutti". C'è da continuare perché come il viaggio di Dedalo verso la Sicilia, la strada per il grande obiettivo finale "è ancora lunga".
Con zelo e pazienza parimenti a quelli dell'inventore del labirinto di Minosse, passo dopo passo, partita dopo partita, Simone Inzaghi ha condotto la sua Inter a spiccare il volo lontano dal labirinto dei disfattismi e dal Minotauro in versione nerazzurra, il mostro con la testa di Conte e i piedi di Lukaku. Niente cera e penne in quel di Appiano, dove l'ex allenatore laziale ha prima tolto tensione a muscoli e psiche dei suoi giocatori, poi trasmesso una pedagogia di calcio più ludica che militare. Divertimento è la parola che più sovviene alla mente pensando al gioco dei nerazzurri che oggi in campo divertono e si divertono. Entusiasmano e si entusiasmano, gioiscono e lasciano gioire. Con una prateria di impegni ancora vastissima e un percorso tutto da scrivere che non permette di piantare ancora bandierina alcuna sul planisfero degli obiettivi (qualificazione agli ottavi esclusa), la bellezza dell'Inter attuale resta comunque dato inconfutabile. Un titolo - per quanto inutile alla bacheca - di campioni d'inverno ad uno schiocco di dita, i meneghini nerazzurri si sono ripresi la credibilità che gli era stata tolta dal mercato in uscita e dalle difficoltà economiche e societarie che l'avevano gettata in pasto ai leoni.
Silenzioso, e paziente, dedito al lavoro e senza mai osare eccessivamente, l'allenatore piacentino ha preso in mano lo scheletro di una squadra faticosamente edificata da Antonio Conte e plasmata col tempo a sua immagine e somiglianza, rendendo ai più - giocatori e tifosi - un prodotto che ad oggi appare persino migliore della versione precedente. Nessun asfissiante e opprimente "il miglior attacco è la difesa", e nessun martellante ermetismo tattico che ne soffoca l'espressività. A prendere il sopravvento è una spumeggiante libertà d'espressione che ha trovato in Calhanoglu l'esecutore qualitativamente perfetto che pigia i tasti di uno strumento orchestrato dal maestro Brozovic, sempre più punto nevralgico di un gioco che stritola gli avversari con eleganza e classe. Ma a far planare questa squadra facendole spiccare il volo verso l'inaudita bellezza sono, come a Creta nel caso di Dedalo, le doti migliori di Simone Inzaghi: ingegno e umiltà, fuse e confuse tra loro. E come Dedalo così Inzaghi, l'invenzione numero uno dell'inventiva inzaghiana sono non per caso le ali.
Se il croato eccelso di questa Inter è finora stato Marcelo Brozovic, la cui importanza sfiora l'inenarrabile, l'altro croato in rosa è l'amico ritrovato di cui ora non si vuole più fare a meno. Sempre più prorompente e sempre più in corsa verso l'imprescindibilità: Ivan Perisic è il protagonista che non t'aspetti. Il plot twist che s'impossessa della trama e ne cambia i connotati. Da esubero dal quale sbarazzarsi a protagonista assoluto nel giro di due stagioni che con Inzaghi ha trovato definitiva consacrazione, raggiungendo un punto altissimo di carriera che si lascia invidiare persino dal Perisic degli scorsi anni, finito a vincere un Triplete con i bavaresi. Architetto delle geometrie interiste e onnipresente uomo in più in quasi ogni punto del campo: corre, dribbla, pressa, si sovrappone, crossa, difende, tira e pure segna, di testa soprattutto, rendendo potenzialmente letale ogni situazione a favore da palla inattiva. Con un rinnovo in ballo del quale non è mai disponibile a rispondere, il vice-campione del mondo, diversamente da quanto accaduto una tantum in passato, non si lascia distrarre come del resto dei complimenti: "Come ti senti a livello personale? Sembra che stai sempre meglio...Quando la squadra gioca così, non è difficile. Devo continuare così come tutti". C'è da continuare perché come il viaggio di Dedalo verso la Sicilia, la strada per il grande obiettivo finale "è ancora lunga".
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