L'Inter esce con le ossa rotte dalla tappa bergamasca, ultimo approdo prima della nuova sosta per le nazionali. Un sonoro 1-4 che la dice lunga sull'andamento della partita, anche se, come sempre nel calcio, non tutto si spiega con i numeri. E allora ci sono due livelli di discorso che questo ko ci ispira: uno riguardante la prestazione dei nerazzurri all'Atleti Azzurri di Bergamo, l'altro relativo più in generale all'utilizzo del Var nel campionato italiano.

Sul primo punto non possiamo fare altro che evidenziare il rendimento scadente di quasi tutti gli uomini di Spalletti, a eccezione di Handanovic. Soprattutto nei primi 45 minuti, Ilicic e compagni hanno imperversato senza soluzione di continuità nella metà campo avversaria, segnando un gol e creando i presupposti per segnarne almeno altri quattro o cinque. Un dominio incontrastato quello dei padroni di casa, e la memoria fa davvero fatica a ricordare un'Inter così sottomessa. Nemmeno le peggiori versioni interiste riescono a ispirare paragoni con quanto si è visto nella prima parte della sfida di domenica all'ora di pranzo. Eppure, nonostante l'ondata infausta, il passivo del primo tempo è minimo. Anzi, a inizio ripresa arriva immediato l'1-1. E la partita cambia, perché il calcio è lo sport più episodico di tutti e basta un nulla per invertire quell'inerzia che pareva assodata. Ma ad Appiano Gentile, quando si tornerà al lavoro, sarà cosa buona e giusta analizzare il perché di quei 45 minuti: non tutto è spiegabile con l'aspetto tattico. Ci sono stati troppi problemi, non ultimo quello di un approccio apparso 'molle'. E le fatiche infrasettimanali con i fenomeni del Barcellona non possono giustificare tutto. Sbagliare giornata può capitare, ma quel primo tempo è stato un massacro.

Dove eravamo rimasti? Ah sì, al gol dell'1-1. Qui s'inserisce il secondo filone del discorso. Inter graziata? Inter fortunata? Si può pensare ciò che si vuole, però... this is football. E sul tabellino il rigore di Icardi pareggia il tap-in di Hateboer. Tutto resettato. Se le partite durano 90 minuti, un motivo ci sarà. E il pacchetto di energia è più o meno lo stesso per tutti: l'Atalanta comincia a pagare lo scotto dello sforzo fisico profuso in quella indiavolata prima frazione e gli ospiti prendono le misure e pure il pallino del match. A questo punto, i bergamaschi appaiono nervosi e decisamente meno sicuri. E sbandano. L'Inter prende coraggio, ritrova le sue certezze e pare riuscire a portare la partita addirittura totalmente dalla sua parte. Ma qui arriva un altro turning-point, quello decisivo: D'Ambrosio commette un fallo tanto inutile quanto ingenuo su Mancini sganciatosi in proiezione offensiva e lo stesso difensore di casa insacca di testa sulla punizione susseguente.

Occhio però, perché il 2-1 atalantino è chiaramente viziato da un fallo del numero 23, che spinge Miranda e si ritrova solo soletto a schiacciare in porta. Il brasiliano è in anticipo, ma viene sbilanciato in modo evidente al momento di staccare e finisce addosso a Skriniar. Il silent-check tra Maresca e i Var Guida e Posado, però, non muta gli eventi. Perché? Nessuno lo sa. Per l'arbitro, infatti, è praticamente impossibile ravvisare live il fallo, vista la grande mischia in area. Ma dal replay l'irregolarità affiora palesemente. Un atteggiamento che va in netta controtendenza con gli episodi avvenuti sugli altri campi nella medesima giornata: all'Olimpico di Roma, Irrati prima concede due rigori, poi correttamente torna sui suoi passi grazie al Var; idem al Meazza in Milan-Juve, con il penalty assegnato ai rossoneri per un netto fallo di mano di Benatia non ravvisato in diretta dall'arbitro Mazzoleni Maresca, invece, non vede nulla e non viene aiutato. Poi vede malissimo fischiando la punizione inesistente dalla quale si origina il 3-1 e vede altrettanto male per quanto riguarda tutta la gestione dei cartellini, con Brozovic che ne fa le spese nel finale con un doppio giallo che grida vendetta.

Insomma, quell'1-4 appare netto e senza appello. Ma il calcio non è spiegabile solo col risultato. In questo sport la parola "meritare" ha valenza solo in casi particolari. Nella storia di questo sport ci sono centinaia di esempi che raccontano un'altra verità. Provate a domandare a un tifoso del Bayern Monaco se la sua squadra non "meritasse" la Champions League del 1999. Ma sull'albo d'oro, fino a prova contraria, c'è scritto il nome del Manchester United.

Una palla che rotola e una serie di episodi: è il football. Niente di più, niente di meno. Spalletti e i suoi analizzino per bene quei terribili 45 minuti, ma anche l'Aia cominci a ragionare seriamente sul metro di giudizio dei propri arbitri. L'Inter, prima di Bergamo, aveva già pagato care le direzione di gara con Sassuolo e Parma. Punti pesanti. Giocano tutti lo stesso campionato e le regole devono essere uguali per ogni squadra. E in ogni partita.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 13 novembre 2018 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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