Nel mondo esistono delle regole. Sono la base della società civile. Se accettate fin da subito, devono essere rispettate. Troppo comodo infrangerle e poi scusarsi con un “non avevo capito” o così “facevano tutti”. 
Non è che se ho fame, ma non ho soldi, né bancomat con me, posso rapinare un supermercato perché tanto “c’è anche altra gente ha fatto lo stesso e l’ha fatta franca”. O meglio, posso anche farlo. Ma se mi beccano vado in galera. E le mie attenuanti non sono sicuramente migliori di chi, a differenza del sottoscritto, avrebbe commesso un reato perché davvero in difficoltà.  
E ancora peggio è essere a convenienza. Quando ti fa comodo una legge allora la sfrutti, quando invece non ti aggrada più, sostieni sia illegittima.
Il mio, sia ben chiaro, è un discorso generale, che ovviamente vale in ogni campo. Calcio compreso. Con l’aggravante per chi fa il mestiere di giornalista che non è facile essere sempre obiettivi, perché ognuno di noi da bambino ha supportato questa o quella squadra. Per carità, le critiche ci saranno sempre. Ma penso che l’errore più grave per chi intraprende il mio lavoro, a meno che non si tratti di un professionista di dichiarata fede sportiva, sia quello di modellare la propria opinione in base ai colori del tuo team. Se ti ritieni imparziale non puoi essere un giornalista tifoso.
Ecco perché dopo oltre 10 anni da Calciopoli sono stufo di sentire delle opinioni. Proprio perché queste sono opinabili. Soggettive. Contano sono i fatti. Le prove raccolte. E aggiungo questo: se fosse stato provato che l’Inter ai quei tempi avesse tentato di avere dei favori dagli arbitri avrebbe meritato la Serie B. Anzi, magari pure la Serie C, come all’epoca chiese l’Avvocato difensore della Juventus. Ma dato che non è stato così, che non c’è uno straccio di prova a supporto di questa tesi di illecito nerazzurro, perché si deve continuare a insinuare il contrario?
Ah, ma i passaporti falsi... L’Inter non restò mica impunita, subì una sanzione. Giusta o sbagliata non spetta a me dirlo. Ma giustificarsi con un “anche giocatori di altre squadre si trovarono in quella situazione” sarebbe stata un’ammissione di colpa mascherata. Vi ricordate quando vostra madre da piccoli vi diceva: “Se gli altri si buttano dal ponte, tu fai lo stesso”?
Ecco in questo caso vale lo stesso principio. Chi vuole capire, capisca. 
E a proposito di disparità di sanzioni, io non mollo mica. Ah, no. Qualche editoriale fa ho scritto che per colpa di deficienti e razzisti l’Inter sarebbe stata condannata, perché così vuole il regolamento.  Adesso mi spiegate perché poi in altre partite si è fatto finta di nulla? Perché chi dopo Inter-Napoli ha fatto titoli su titoli e trasmissioni su trasmissioni sulla vicenda di Koulibaly, ha invece preferito fare spallucce con Meitè e company? Troppo comodo. Il classico stile italiano. E ripeto: corretto punire tutti quelli che inveito contro il difensore dei campani. Ma profondamente ingiusto e incoerente non farlo con quelli che si comportano allo stesso modo.  
Vabbè, cambiamo argomento. Parliamo di tutti quei capiscers che solo due stagioni fa spargevano veleno sulla Beneamata e parlavano di Milan da Scudetto. I tifosi è giusto che sognino. Gli addetti ai lavori dovrebbero farsi qualche domanda in più. Se un medico sbaglia una diagnosi e opera la tibia anziché il femore, perde il lavoro. Se un architetto fa un progetto con misure sbagliate viene licenziato. Da altre parti più la si spara grossa, meglio è. Chiariamoci: tutti sbagliano. E pure io ne ho presi di abbagli. Mica pochi è. Devo sempre puntare a migliorarmi, ci mancherebbe. Ma quell’esaltazione per i rossoneri, unita alle critiche ai nerazzurri, mi fa ancor oggi accapponare la pelle. 
Ci sono i risultati a sentenziare la bella o la brutta figura di oguno di noi. Nonostante molti, anzi troppi, cavalchino il “ti dico quello che vuoi sentire”. La verità non è quella che piace di più. Né quella ti pare.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 18 gennaio 2019 alle 00:00
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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