Scegliere l’Inter non è mai semplice. Non è semplice tifarla, non è semplice amarla, non è semplice supportarla, tantomeno sopportarla. Perché l’Inter è questa qui: “una creatura diversa rispetto a tutte le altre squadre. Con una piccola dose, o forse qualcosa di più, di sana, lucida follia. È genio e sregolatezza, è sofferenza, è dolore, è estasi. Dall'Inter ci si può aspettare tutto e il contrario di tutto. Vittorie impossibili e tonfi clamorosi, partite della vita e passaggi a vuoto inimmaginabili. È così, storicamente”. Rettifico… Era questa qui. Non è certo un caso che quella di cui sopra è una storica citazione di uno storico Javier Zanetti. E non è certo un caso che nella rivoluzione contiana, la prima rivoluzione contiana, quella di luglio dello scorso anno, il primo dei comandamenti dettati dal signore di Lecce fu: niente più pazza Inter.

Ci ha messo più di un anno Antonio a modellarla fino in fondo, a scavare così tanto al punto da trovare quella piccola dose di dna e strapparne più di un pezzetto. E dopo tanta fatica l’Inter pazza non è più. Persino quella leggera sfumatura di antica schizofrenica indole ricomparsa con la Fiorentina alla seconda di campionato non c’è più. Con il Benevento, malgrado i due gol subiti, l'Inter non ha mai dato impressione di perdere il controllo della partita; copione recitato anche contro il Genoa, gara disputata dopo il pari con la Lazio, il ko del derby e il pari con il Borussia.

Proprio col Genoa l'Inter si concedeva tregua, simulando un'inversione di rotta infrantasi sabato pomeriggio contro il Parma dopo i segnali di possibile arenamento mostrati già contro lo Shakhtar. Ma è con il Parma che il vaso è traboccato. Non solamente quello di Marotta che per la prima volta spezza un silenzio durato troppo a lungo dinnanzi a varie controversie arbitrali che più e più volte hanno fatto storcere il naso. Nel pomeriggio di San Siro l'Inter più che traboccare ha proprio deragliato, uscendo da un binario sembrato mai così solido in questi primi due mesi stagionali. Stanca, disillusa, spaesata, lenta e molle (con buona pace di Conte che ci perdonerà per il termine). "Non sto parlando di mollezza dei miei giocatori, parlo di fase offensiva, siamo stati bravi, abbiamo creato tanto ma dovevamo segnare e fare di più" ha detto il tecnico ai microfoni di Sky dopo la gara. "Mollezza? No. Non mettetemi in bocca parole che non dico". E infatti a dirlo non è lui, ma la squadra e non con le parole, che in taluni casi servono a poco o niente. Un primo tempo gestito in totale dominio vanificato dai colpi di quel Gervinho per il quale erano pronte le sciarpe nerazzurre nelle ultime battute del mercato estivo e salvato in estremis dai due croati: entrambi più fuori che dentro (per motivi differenti) nella stessa finestra di mercato appena citata. Che stranezze, quasi al limite della follia. 

La follia, la solita ridondante follia, che suona e risuona nella testa di chi inizia ad averne nostalgia, ovvero i tifosi. Qualcuno di fatto sembra essersi dimenticato della loro esistenza. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore cantava la Nannini, perché con il Covid che non accenna a diminuire e al contrario pronto a minacciare un secondo pesantissimo rilancio a San Siro, contro il Parma non c'erano più neanche quei mille delle partite precedenti. E allora forse ce ne staremo tutti un po' dimenticando mentre loro convulsi cercano delle risposte. Risposte che né Marotta, né Conte hanno dato. Non certo per sottrazione al dovere, ma per impossibilità di darne. D'altronde che risposte ci sarebbero? Qualcuno tanto prima di noi, che nulla c'entrava col calcio, disse di sapere di non sapere e finì col bere cicuta. Con l'auspicio di non assaporare a fine stagione il sapore di cicuta, "in allegato vi trasmettiamo un dialogo senza significati". Esattamente come quello recitato dall'Inter contro il Parma, un dialogo senza follia sì, ma anche significato.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 02 novembre 2020 alle 00:02
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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