Continuano le gitarelle attraverso il globo terracqueo dei nostri eroi. E, soprattutto, continuano le legnate che la squadra rimedia a destra e a sinistra; da tutti, nessuno escluso. Perché si è riusciti a dare lustro con uno zero a zero da far tremare i polsi ad undici onesti lavoratori austriaci. Dopo pochissimi giorni beccato dal CSKA Sofia, avessi detto una corazzata del calcio europeo; ma ci sta, preparazione pesante in vista del campionato così da non avere passaggi a vuoto della durata di un bimestre sul genere della passata stagione, roba che ci è costata l’ammissione diretta alla CL. Viaggetto negli States, che una volta nella vita vanno visitati; lì abbiamo spezzato le reni al Salt Lake City, Jovetic sugli scudi (poi sparito dai radar), brividi sulla schiena, rimediando 3 ceffoni dal PSG ed un pareggio contro le riserve dell’Estudiantes, guidate da un certo Vivas, uno che le folle nerazzurre ricordano più che altro per una serie di performance sportive al limite della sopportazione umana. La prestazione con il Bayern Monaco, zero quattro dopo un tempo e coi tedeschi al rallentatore nella ripresa (non so se per pietà, decenza o per un decadimento fisico che ci stava pure), la lasciamo perdere; ad oggi di simile al Bayern abbiamo il materiale con cui sono fatte le scarpette dei calciatori e poco altro. Rientriamo nella vecchia, cara, inimitabile Europa per vedere i fiordi norvegesi (che là l’estate è corta e bisogna approfittarne) e, già che ci siamo, sgambettare allegramente sul prato verde davanti a qualche migliaio di persone più qualche milione sparso per il mondo così da incappare in quarantacinque minuti da paura, dopo un primo tempo giocato (perché va detto, altrimenti non si è intellettualmente onesti) davvero bene; Banega geniale, leader vero e non giusto per usare un termine estero tanto di moda, discreta la prova generale. Dopodiché si è spenta la luce. E la storia della preparazione inizia a non funzionare più, tra due settimane è campionato e se l’autonomia è di quaranta minuti non ci siamo proprio.

Non appartengo alla categoria che esprime giudizi dopo cinque/sei partite giocate sotto il caldo agostano, però appartengo alla categoria di coloro che pensano che chi porta la maglia dell’Inter la deve onorare sempre e comunque; arrivare in questo club deve essere un privilegio, in giro per il mondo di squadre che hanno la storia e la tradizione dell’F.C. Internazionale ce ne sono poche. Anzi, pochissime. E vedere certe disfatte, per quanto ininfluenti sotto ogni punto di vista, dà fastidio. Ne deve dare se tifi per l’Inter. Non appartengo nemmeno alla lunga lista de: e, ma perdere fa male all’autostima. Rammento, ce ne fosse di bisogno, che la stagione del Trap, di Lothar, Andy, Ramon e di un gruppo eccezionale (poi vedo qualcuno di questi che bussa a quattrini nonsicapiscebeneperqualearcanomotivo e mi girano… ah, se mi girano) iniziò con sberloni pesanti a destra e a sinistra. Senza scomodare Mou (accensione del cero sotto l’altarino) e la pre-stagione 2009/2010, di certo non memorabile o fantasmagorica. Per la serie che perdere nuoce all’autostima; certo, nuoce se non hai gli attributi, quelli che nel gergo di tutti i giorni chiamiamo più semplicemente palle, carattere, scegliete Voi il termine che preferite.

Molto più semplicemente credo che la Società debba essere regolata e regolamentata: manca qualcuno che vada nello spogliatoio, prenda gli eroi (mica tutti, soltanto quelli con frequenti attacchi di gastroenterite) e spieghi loro ben bene dove sono finiti. Perché lo ripeto, e lo ripeterò fino alla nausea se serve: quella che hanno sulle spalle è una maglietta storica, colori indelebili, gotha del calcio mondiale. Se c’è qualcuno che non ha voglia di restare, c’è chi preferisce giustamente il panorama da Posillipo piuttosto che da un appartamento in zona San Siro, recapiti in sede il conquibus richiesto e tolga il disturbo. Sì, ma seriamente, non col rilancino; oggi un chupa chups, domani un chupa chups più una confezione di big babol, dopodomani un chupa chups più una confezione di big babol più un pacchetto di patatine prossime alla scadenza e così via. Salvo poi, all’improvviso, lanciare ultimatum come le caramelle ad un festa di bambini: oggi non so cosa fare, lancio un ultimatum. Che uno al giorno leva il medico di torno.

Stendo un velo (non aggiungo pietoso che non è bello) sull’utilità di alcuni dirigenti, dei quali non solo non conosco i lineamenti ma nemmeno la voce; cioè, ricoprono incarichi importanti, ma non parlano. E non so se non lo facciano per scelta societaria o perché sono timidi. Ma una figura di rilievo ci vuole. Altrimenti si finisce per demandare sempre tutto a Mancini che dopo tre mesi sclera. A proposito di Mancini: non appartengo neanche a chi lo vorrebbe defenestrare immantinente. E non perché sia soddisfatto del suo lavoro. L’atteggiamento di Roberto da Jesi in questa estate 2016 non mi è per nulla piaciuto. Troppe insicurezze, troppo nervosismo, troppe mezze cose dette e mezze no. Ma cambiarlo per chi? Per Bielsa? Ricordo che il loco, lo adoro, non è uno propriamente facile di carattere. Mancini, al confronto, è un giovinotto educato di fine ‘800. O per chi altro? Perché, piaccia o meno, la panchina dell’Inter è complicata da gestire, non la puoi consegnare al primo che capita o al giovane di belle speranze, che di fronte a reali difficoltà annaspa ed annega. Questo è un momento difficile per la Società; nuova proprietà, un discreto caos, tante cose da sistemare. Tutto rientrerà nei ranghi, ma col mare in tempesta è sempre meglio affidarsi ad un capitano di lungo corso; che i novellini la sfangano soltanto nelle commedie americane. E gli altri? Quelli col mal di pancia? 
Levategli i gelati. Il mal di pancia passa.
Altro che imprescindibili.
Buona domenica a Voi.
Amatela. Sempre!

Sezione: Editoriale / Data: Dom 07 agosto 2016 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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