È giugno del 2017 quando Luciano Spalletti varca i confini della Pinetina e si offre ai media per la prima conferenza stampa della sua avventura in nerazzurro. Abbronzato, discretamente sereno, sorridente, dispensa chiacchiere calcistiche e filosofia da campo in dosi massicce. Eravamo tanti ad ascoltarlo quel mercoledì 14 - rimanevano solo posti in piedi e pure pochi - alcuni convinti della scelta dell’uomo e del tecnico altri forse un po’ meno ma, senza ombra di dubbio, convertiti man mano che il discorso si ampliava toccando argomenti non esclusivamente pallonari. Appartenenza, convinzione, psicologia nemmeno troppo spicciola furono gli ingredienti base di quella chiacchierata culminata con i saluti generali ed un buon aperitivo rinforzato al termine del tutto.
Luciano da Certaldo parlò da subito in modo chiaro e netto: “Questa è una squadra già forte di per sé, interverremo dove necessita ma senza stravolgere il gruppo. Sono ragazzi con grandi qualità, attualmente in Italia è difficile trovare di meglio”. Per alcuni una ovvia dichiarazione aziendalista; l’inutile e stupido (per come è strutturato adesso) Financial Fair Play partorito dall’immaginazione di un ex presidente UEFA indagato per un paio di milioni ricevuti per un – bah - lavoro da Blatter, l’anima candida che si dileguò al momento della premiazione del Mondiale 2006, patetico, non consentiva all’Inter un mercato di altissimo livello, una cavalcata estiva da stropicciarsi gli occhi vista la potenza economica unanimemente riconosciuta del colosso Suning, quindi figuriamoci se un allenatore appena messo sotto contratto si permette di bacchettare la proprietà. Insomma, di spostamento di equilibri in casa Internazionale manco a parlarne.
Invece no, invece – forse – Spalletti aveva idee molto più chiare di chiunque altro. In fondo non serviva tanto, diciamo solamente enormi dosi di autostima, quintalate di fiducia e sentirsi parte di un progetto, chiamiamolo così, valido ed assennato; basta vivere da comprimari, attori non protagonisti di uno spettacolo banale, già visto da anni e per anni, noioso e stantio, animato da qualche impennata qua e là ma vuoto dal punto di vista dell’appartenenza e dell’impegno. Perché, non me la stiano a raccontare, robe come il finale di stagione del campionato scorso sono figlie del nulla cosmico, del tanto chissenefrega, del qui non comanda nessuno e noi ci facciamo bellamente i fatti nostri. Con buona pace di Pioli, un Signore che troppi interisti hanno bollato come mediocre quando, probabilmente, era stato tra i pochi a metterci cuore, dignità, faccia e tutto ciò che ci sta intorno.
Le scommesse del nuovo condottiero nerazzurro erano tante per poter pensare che sarebbe riuscito a vincerle tutte. Restituire un’anima a giocatori più impegnati a scattare selfie ai propri piedi in piscina piuttosto che mettere quei piedi in campo, pure incazzati di brutto (i piedi); recuperare un ambiente depresso da anni di insuccessi, senza un filo conduttore che legasse gli uomini che ne facevano parte; tornare a dare lustro al popolo del cielo e della notte, disperatamente legato ai ricordi di ciò che fu soltanto sette anni or sono, sembra trascorso più di un secolo, comunque sia sempre presente al Meazza anche in caso di pioggia, bottigliette mozzicate, prestazioni al limite della decenza ed ammennicoli vari. Intendiamoci, per adesso nulla è avvenuto, nulla da trasmettere ai posteri intendo; perché molto, moltissimo, è cambiato.
Oggi sui social non si vedono, grazie a Dio, foto demenziali di piedi, la truppa è alle dipendenze del suo generale e combatte per conseguire un obbiettivo comune, volando se possibile sempre più in alto, la Società fa la Società, nulla trapela senza il benestare dell’alta dirigenza, il tempo delle Linda Lovelace di noialtri sembra finalmente essere un brutto ricordo che oggi accomuna lidi diversi. Senza raggiungere le altissime vette del famoso mulino appartenenti ad altre parrocchie, l’idea che traspare assomiglia sempre più a quella di un Gruppo. Ma Gruppo vero, non le pantomime che giornalmente riempiono le colonne dei quotidiani; l’aria che si respira sembra pulita, purificata, meglio di quella d’alta montagna. Volete un esempio? Beh, Mauro Icardi che va a Firenze per sostenere la moglie di Borja Valero, ottima maratoneta, sotto la pioggia di un lunedì grigio e freddo, appena reduce da Cagliari, può rendere bene ciò che intendo. Quando mai si era vista una cosa simile? A memoria faccio fatica a ricordare.
Ma ancora meglio è stata la mossa con cui Spalletti sta cercando di responsabilizzare chiunque: tutti importanti, nessuno fondamentale. E via ai #senzatregua, agli #undicititolari; anche se, probabilmente, oggi l’Inter calciatori fondamentali senza i quali difficilmente sarebbe dov’è ne ha; ciò non è un male, anzi, dal mio personalissimo punto di vista è un plus da cui iniziare a costruire qualcosa di solido. Perché se nella tua squadra giocano fuoriclasse, e noi ne abbiamo almeno tre, significa tanto, tantissimo; soprattutto se i presunti (nel nostro caso veri) fuoriclasse non se la menano, non assurgono al ruolo dei fighetti di turno ma sono i primi ad aiutare i compagni e sbattersi in campo e fuori senza che nascano, crescano e si sviluppino gelosie. Ecco, le famose gelosie di cui qualcuno vagheggiava, le gelosie tra Icardi e Perisic ad esempio; che poi, se vai a vedere, ti rendi conto di quanto Ivan (ogni tanto si appisola in campo ma lui è un VERO fuoriclasse) aiuti Mauro a timbrare il cartellino una domenica si e l’altra pure. E, poiché il capitano ha dichiarato di non voler cambiare aria, affermazioni ribadite da Wanda e tutti sappiamo l’importanza di Wanda nella vita sportiva e non del centravanti argentino, via i moschettieri della gelosia ecco che spuntano i seguaci del… bisogna cedere Icardi per esigenze di bilancio… Lasciamo perdere, non fateci neanche caso, davvero non ne vale la pena.
Nulla è stato fatto, dicevamo. Ed io, lo sapete e se non lo sapete sapetelo, non sono tra coloro che pensano ad una Inter scudettata alla fine di questa stagione, trenta punti difficilmente li recuperi in qualche mese, anche se chi guida la squadra sembra re Mida. Però la strada sembra giusta e Luciano Spalletti ci sta portando i suoi ragazzi; visionario forse il nostro allenatore, di certo con due palle grandi quanto cocomeri ed un carattere vincente che ha trasmesso a chi sta portando il nerazzurro sulle spalle. La sua ultima uscita - “non voglio niente dal mercato, basta che rimangano i miei” - dice assai su quanto un uomo può incidere sul morale di uno spogliatoio. Oggi pomeriggio provate a regalarci un piccolo sogno. Piccolo ma significativo: che andare a Torino da primi della classe sarebbe una libidine non indifferente. Amatela, sempre. Buona domenica a Voi!
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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