Se c'è una cosa che ha meno senso di tutte quelle che si leggono puntualmente durante ogni sosta dedicata alle Nazionali è il raffronto delle classifiche dopo tot giornate tra due stagioni consecutive. I '+' e i '-' davanti al numero dei punti da tradurre come un miglioramento o un peggioramento è quanto di più fuorviante possa esserci. Prendete il caso dell'Inter di Simone Inzaghi, che ha addirittura 5 punti di vantaggio sulla creatura ibrida che Antonio Conte aveva modellato senza crederci troppo all'inizio dello scorso campionato, anomalo per definizione visto che fu una specie di prosecuzione di quello precedente. Numeri interpretati per piegarli alle proprie teorie, scarabocchiate sulla carta dopo il calciomercato, per dire se questa o quella formazione è uscita rafforzata o indebolita dalla campagna trasferimenti. Una semplificazione estrema che non tiene conto del contesto tutto attorno, come se non si stesse correndo con le altre 19 avversarie ma con il proprio passato. Così il concetto che rischia di passare in chiave nerazzurra è uno solo: perché si critica questa Inter, se ha avuto questo tipo di partenza? Innanzitutto sono cambiate le premesse: se a fine settembre 2020 la Beneamata poteva essere considerata al massimo una pretendente al titolo, da agosto 2021 è scesa in campo da favorita con lo scudetto cucito sul petto. In più, fattore non secondario, la ricerca dell'identità vincente, almeno nei confini nazionali, è stata completata: l'Inter di adesso è fatta e finita, sa che non può giocare più un certo tipo di calcio avendo perso Lukaku, Hakimi ed Eriksen, e ha un impianto di gioco che al massimo può subire qualche variazione sul tema nelle prossime 31 giornate.
Difficile, allora, pensare che Sassuolo-Inter sia il turning point della stagione come lo fu 10 mesi fa. C'è chi dirà, snocciolando le statistiche, che non serve alcun tipo di svolta perché la proiezione calcolata sui punti realizzati è rassicurante in chiave tricolore. Vero solo in parte: se la media è assolutamente da primo posto, va sottolineato con chi e come sono stati realizzati questi risultati positivi. Avendo in mano solo un campione di sette partite, insufficiente per tracciare un bilancio attendibile, l'unica cosa da fare è provare a pesare quel '17' che compare in graduatoria. In questo arco di tempo, l'Inter ha giocato solo uno scontro diretto, pareggiato 2-2 in casa contro l'Atalanta, che poteva vincere o perdere. Ha stravinto a San Siro con Genoa e Bologna, mentre in trasferta ha collezionato 3 vittorie in rimonta e una 'x' in campi comunque insidiosi (soprattutto Firenze). Inzaghi lamenta 2 punti in meno in questo percorso, ma omette di dire che – non essendo il calcio uno sport come il pugilato dove conta il cartellino degli arbitri se non si consuma il ko sul ring – la sua squadra ha rischiato di compromettere anche partite in cui ha fatto di più dell'avversario di turno nei 90'. Vedi la scivolata di Bastoni a negare un gol sicuro a Djuricic sull'1-0 di Sassuolo-Inter, il tentennamento di Barak a Verona sull'1-0, oltre al salvataggio di D'Ambrosio in Samp-Inter col risultato fermo sul 2-2. Ne esce una doppia Inter, una in vantaggio per 285 minuti e una in svantaggio per 130, su cui c’è da fare un altro distinguo prima e dopo il 55', quando Inzaghi aziona la girandola di cambi che stravolge tutto. E' l'unica costante che si trova in questa equazione irrisolvibile che genera una riflessione: è inadeguato l'11 schierato di volta in volta dal 1' o è il tecnico è bravo a leggere le modifiche da fare a gara in corso potendo disporre di una rosa le avversarie medio-piccole si sognano? "Vorrei andare sopra anche io qualche volta. E' capitato quattro volte in sette partite di andare in svantaggio, dovremmo lavorare su questo fattore perché dobbiamo essere noi a dare lo schiaffo per prima", ha dichiarato l'ex Lazio nella zona interviste del Mapei Stadium dopo l'ennesima rimonta.
Un auspicio che, se tradotto in campo da Dzeko e compagni, potrà dare una mano a chi sta tentando di capire il vero valore di questa Inter. Per vincere serve certamente reagire agli eventi sfortunati, ma anche saper gestire quelli positivi come andare avanti nel punteggio: questa Inter ne è capace? Domanda che attende una risposta. Ecco perché, per comprendere la natura di questa Inter, si volge lo sguardo all'indietro, trovando un curioso paradosso: Inzaghi è in netto vantaggio rispetto a quella dello scudetto di Conte dopo 7 giornate, ma anche qui è condannata a rimontare. Non solo le avversarie, Milan e Napoli, le stesse dell'anno scorso a questo punto della stagione, ma soprattutto se stessa di un anno fa.
Difficile, allora, pensare che Sassuolo-Inter sia il turning point della stagione come lo fu 10 mesi fa. C'è chi dirà, snocciolando le statistiche, che non serve alcun tipo di svolta perché la proiezione calcolata sui punti realizzati è rassicurante in chiave tricolore. Vero solo in parte: se la media è assolutamente da primo posto, va sottolineato con chi e come sono stati realizzati questi risultati positivi. Avendo in mano solo un campione di sette partite, insufficiente per tracciare un bilancio attendibile, l'unica cosa da fare è provare a pesare quel '17' che compare in graduatoria. In questo arco di tempo, l'Inter ha giocato solo uno scontro diretto, pareggiato 2-2 in casa contro l'Atalanta, che poteva vincere o perdere. Ha stravinto a San Siro con Genoa e Bologna, mentre in trasferta ha collezionato 3 vittorie in rimonta e una 'x' in campi comunque insidiosi (soprattutto Firenze). Inzaghi lamenta 2 punti in meno in questo percorso, ma omette di dire che – non essendo il calcio uno sport come il pugilato dove conta il cartellino degli arbitri se non si consuma il ko sul ring – la sua squadra ha rischiato di compromettere anche partite in cui ha fatto di più dell'avversario di turno nei 90'. Vedi la scivolata di Bastoni a negare un gol sicuro a Djuricic sull'1-0 di Sassuolo-Inter, il tentennamento di Barak a Verona sull'1-0, oltre al salvataggio di D'Ambrosio in Samp-Inter col risultato fermo sul 2-2. Ne esce una doppia Inter, una in vantaggio per 285 minuti e una in svantaggio per 130, su cui c’è da fare un altro distinguo prima e dopo il 55', quando Inzaghi aziona la girandola di cambi che stravolge tutto. E' l'unica costante che si trova in questa equazione irrisolvibile che genera una riflessione: è inadeguato l'11 schierato di volta in volta dal 1' o è il tecnico è bravo a leggere le modifiche da fare a gara in corso potendo disporre di una rosa le avversarie medio-piccole si sognano? "Vorrei andare sopra anche io qualche volta. E' capitato quattro volte in sette partite di andare in svantaggio, dovremmo lavorare su questo fattore perché dobbiamo essere noi a dare lo schiaffo per prima", ha dichiarato l'ex Lazio nella zona interviste del Mapei Stadium dopo l'ennesima rimonta.
Un auspicio che, se tradotto in campo da Dzeko e compagni, potrà dare una mano a chi sta tentando di capire il vero valore di questa Inter. Per vincere serve certamente reagire agli eventi sfortunati, ma anche saper gestire quelli positivi come andare avanti nel punteggio: questa Inter ne è capace? Domanda che attende una risposta. Ecco perché, per comprendere la natura di questa Inter, si volge lo sguardo all'indietro, trovando un curioso paradosso: Inzaghi è in netto vantaggio rispetto a quella dello scudetto di Conte dopo 7 giornate, ma anche qui è condannata a rimontare. Non solo le avversarie, Milan e Napoli, le stesse dell'anno scorso a questo punto della stagione, ma soprattutto se stessa di un anno fa.
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